INL: diffida accertativa e potere di disposizione – ulteriori chiarimenti
Pubblicato il 21 Dic 2020
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la nota n. 1107 dell’11 dicembre 2020, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla modifica del provvedimento di diffida accertativa e del potere di disposizione di cui agli artt. 12 e 14, D.Lgs. n. 124/2004, operata dall’art. 12 bis del D.L. n. 76/2020 (conv. da L. n. 120/2020).
In particolare, in relazione alla diffida accertativa allorquando, oltre al datore di lavoro, sia individuato anche un responsabile solidale.
La risposta dell’Ispettorato del Lavoro
Destinatario della diffida accertativa in qualità di obbligato solidale e filiera degli appalti
Innanzitutto appare opportuno precisare che, con circ. n. 5 dell’11 febbraio 2011 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel fornire indicazioni al personale ispettivo circa la concreta applicazione della disciplina in materia di responsabilità solidale, ha chiesto di “comunicare” la diffida accertativa validata a tutti i responsabili in solido (committente, appaltatore e subappaltatore) atteso che la tempestiva comunicazione del debito, nel contesto normativo precedente, risultava funzionale all’attivazione di meccanismi di autotutela a disposizione dell’obbligato solidale (ad es. blocco dei pagamenti relativi ai lavori eseguiti).
Tale orientamento è stato successivamente confermato dalla successiva nota prot. n. 13325 del 22 luglio 2014, che ha inteso evidenziare come tale comunicazione fosse finalizzata a “notiziare gli eventuali responsabili in solido delle conseguenze pregiudizievoli, in termini di eventuale chiamate in solidarietà per mezzo di atti successivi, che sarebbero potute derivare loro dall’adozione di siffatti provvedimenti”.
La possibilità di adottare un provvedimento “coercitivo” nei confronti del responsabile solidale è quindi una novità introdotta dalla L. n. 120/2020. La nuova formulazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004, nel consentire l’adozione della diffida accertativa “nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati”, limita tuttavia gli effetti coercitivi al soggetto che “direttamente” utilizza la prestazione lavorativa, con conseguente esclusione del coinvolgimento di tutti gli altri soggetti responsabili solidali ai sensi dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 interessati nella filiera dell’appalto.
Resta, tuttavia, salva la possibilità di dare comunicazione del debito accertato a tutti gli ulteriori soggetti coinvolti nella filiera ai sensi di quanto già chiarito nella circ. n. 5/2011, una volta che la diffida abbia acquistato natura di titolo esecutivo. Dell’eventuale esistenza di tali soggetti appare inoltre opportuno notiziare anche il lavoratore onde consentirgli di attivarsi in forza dell’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003.
Limiti di operatività del regime di solidarietà
Ai fini dell’emanazione della diffida accertativa nei confronti dell’utilizzatore/obbligato solidale si deve tener conto dei limiti di operatività del regime di solidarietà di cui al comma 2 e 3-ter dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 ovvero:
i trattamenti retributivi dovuti sono individuati in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto;
va tenuto conto del termine decadenziale di due anni dalla cessazione dell’appalto per esigere i crediti nei confronti del responsabile solidale;
il regime di solidarietà non trova applicazione in relazione al committente persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale.
Relativamente al primo aspetto, pertanto, la diffida accertativa nei confronti dell’obbligato solidale potrà avere ad oggetto esclusivamente i crediti maturati nel periodo di esecuzione dell’appalto ed in relazione allo stesso (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 444 del 10 gennaio 2019).
Appare pertanto possibile che la diffida accertativa notificata al datore di lavoro contempli importi diversi da quelli oggetto della diffida accertativa notificata al responsabile solidale, in qualità di utilizzatore finale, atteso che il vincolo di solidarietà è limitato solo alle retribuzioni maturate in ragione dell’appalto. Ad ogni modo sulla diffida notificata al datore di lavoro sarà opportuno evidenziare le somme sulle quali sussiste una corresponsabilità dell’utilizzatore finale delle prestazioni lavorative.
Per quanto concerne invece il termine decadenziale dei due anni dalla cessazione dell’appalto, è da rilevare che una diffida accertativa emanata successivamente sarebbe con tutta evidenza inutiliter data ed in contrasto con la norma atteso che il credito perderebbe, per effetto dello spirare del termine, il requisito della esigibilità.
È appena il caso di evidenziare che tali limiti – riguardando esclusivamente le ipotesi di appalto – non trovano applicazione nelle ipotesi di somministrazione, atteso che analoga previsione non risulta contemplata dall’art. 35 del D.Lgs. n. 81/2015.
Infine, non sarà possibile adottare la diffida accertativa nei confronti di utilizzatori persone fisiche che non esercitano attività di impresa o professionale (cfr. comma 3 ter dell’art. 29).
Pluralità di soggetti utilizzatori della prestazione lavorativa
In caso di pluralità di soggetti utilizzatori che si siano succeduti nel tempo o siano contestuali (si pensi agli appalti di pulizie), in ragione di quanto sopra evidenziato, si dovrà avere cura di definire con esattezza il periodo di riferimento di ciascun appalto.
In caso di utilizzatori contestuali, l’ammontare complessivo del credito maturato nel periodo di esecuzione andrebbe riproporzionato in base al numero di ore di impegno del lavoratore nei rispettivi appalti. Ove ciò non risulti possibile, difettando i requisiti di liquidità e certezza del credito nei confronti del committente, la diffida accertativa sarà adottata nei confronti del solo datore di lavoro.
Ulteriori ipotesi di dissociazione tra titolarità del rapporto di lavoro e utilizzo della prestazione lavorativa
Si ritiene che l’ambito di applicazione della norma riguardi tutte le ipotesi in cui ricorra una dissociazione tra titolarità del rapporto di lavoro e utilizzo della prestazione lavorativa, sulla scorta di quanto precisato nella circolare INL n. 6/2018 in riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2017.
Rapporti tra conciliazione monocratica e ricorso in caso di due obbligati
Come già illustrato nella nota prot. n. 811 del 7 ottobre u.s., i due strumenti sono alternativi in relazione a ciascun obbligato. Pertanto, laddove i soggetti obbligati siano due, è possibile che scelgano di attivare rimedi diversi. In tali casi con la nota citata si è già chiarito che gli Uffici avranno cura di dare corso, in via prioritaria, al tentativo di conciliazione esclusivamente tra il lavoratore e il soggetto istante (il coinvolgimento del secondo coobbligato si ha solo qualora quest’ultimo non abbia presentato ricorso).
In caso di esito positivo della conciliazione, l’eventuale accordo fa venir meno la diffida nei confronti del soggetto che la sottoscrive, tenuto peraltro conto che il verbale acquista efficacia di titolo esecutivo secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 124/2004. Tale soggetto resta pertanto indifferente al successivo esito del ricorso presentato dal secondo coobbligato.
Ove, invece, la conciliazione abbia avuto esito negativo, la diffida accertativa non potrà automaticamente acquistare valore di titolo esecutivo nei confronti dell’obbligato che ha promosso la conciliazione. La pendenza del ricorso presentato dal secondo coobbligato sospende infatti l’efficacia del provvedimento anche nei confronti di quest’ultimo e pertanto occorrerà attenderne gli esiti.
Una volta definita la conciliazione, si potrà procedere alla istruttoria del ricorso amministrativo, ferma restando la necessità di assicurare, ove possibile, il rispetto del termine di 60 giorni per la sua decisione. In tal caso:
se il ricorso viene rigettato, la diffida accertativa può definitivamente acquistare valore di titolo esecutivo, ai sensi del comma 3 dell’art. 12, nei confronti del ricorrente e del secondo responsabile che non abbia sottoscritto la conciliazione;
se il ricorso viene accolto, la diffida non potrà acquistare efficacia di titolo esecutivo nei confronti del ricorrente e dell’altro responsabile che non abbia sottoscritto la conciliazione e che pertanto resta soggetto alle vicende che interessano il provvedimento.
Si ricorda, peraltro, che un eventuale accoglimento del ricorso basato esclusivamente su doglienze riferibili ad una parte riverbera i suoi effetti solo su quest’ultima.
Infine, ove il ricorso preveda la rideterminazione di una o più voci del credito contenute nell’atto di diffida, il personale ispettivo emanerà un atto di ridetermina conforme alla decisione, da notificare a tutte le parti.
Differenze nella determinazione del quantum del credito
Come appena chiarito, il debito complessivo a carico del datore di lavoro può differenziarsi dal quantum dovuto dal coobbligato, atteso che la sua esposizione riguarda solo i crediti maturati dal lavoratore in ragione dell’appalto.
Nonostante ciò, si ribadisce l’opportunità di coinvolgere nella conciliazione monocratica anche l’obbligato che non ne abbia fatto richiesta (salvo che non abbia presentato ricorso). In tal caso, ove si raggiunga un accordo tra tutte le parti che preveda una diversa esposizione al debito, sarà necessario procedere attraverso separate verbalizzazioni nelle quali si avrà cura di quantificare il rispettivo debito ai fini dell’esecuzione del titolo ai sensi dell’art. 11, comma 3 bis, D.Lgs. n. 124/2004.
Separate verbalizzazioni saranno inoltre sempre adottate laddove gli esiti della conciliazione siano difformi, atteso che nei confronti della parte che non ha aderito all’accordo si consolida la diffida accertativa quale titolo esecutivo, mentre nei confronti della parte che ha conciliato la diffida viene meno ed il verbale può acquistare valore di titolo esecutivo ai sensi del citato art. 11, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 124/2004.
Ulteriori questioni: proposizione contestuale di entrambi i rimedi da parte del medesimo obbligato
Se è ammissibile che i soggetti obbligati (datore di lavoro e obbligato in solido) scelgano strade diverse, non è, invece, possibile che il medesimo soggetto presenti contestualmente o anche in momenti diversi ma sempre entro 30 giorni dalla notifica della diffida, ricorso ed istanza di conciliazione.
Laddove i rimedi siano esperiti in momenti diversi, si darà corso all’istanza trasmessa per ultima, la quale lascia comunque intendere una rinuncia alla prima. Ciò, si ribadisce, qualora la seconda istanza sia comunque trasmessa entro i 30 giorni previsti dall’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004. Ne consegue che, al fine di procedere con l’istruttoria del ricorso o con il tentativo di conciliazione, sarà sempre necessario attendere lo spirare del citato termine di 30 giorni.
Diversamente, nell’ipotesi in cui la richiesta di conciliazione e la presentazione del ricorso siano contestuali, si ritiene opportuno – anziché dichiarare l’improcedibilità della richiesta – dare seguito unicamente al ricorso quale strumento di verifica, “nel merito”, delle determinazioni assunte in sede ispettiva e pertanto di maggior garanzia sulla correttezza dell’operato dell’Amministrazione.
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