INL: Distacco transnazionale – tutela per i lavoratori somministrati
Pubblicato il 17 Giu 2021
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la nota n. 936 del 15 giugno 2021, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla tutela sociale da garantire a lavoratori somministrati nell’ambito di un distacco transnazionale.
La nota dell’Ispettorato del Lavoro
Il caso concreto vedeva opposte un’agenzia interinale stabilita in Bulgaria e l’Agenzia delle entrate dello stesso Paese, istituzione competente al rilascio di certificati A1. Quest’ultima aveva rifiutato il rilascio dei certificati in parola per lavoratori assunti in Bulgaria ed immediatamente distaccati presso un’impresa utilizzatrice stabilita in Germania sulla scorta di alcune considerazioni ed in particolare del fatto che l’impresa fornitrice non esercitasse nessuna attività di somministrazione in Bulgaria e tutto il suo fatturato dipendesse dall’effettuazione del servizio di somministrazione in altri Paesi UE.
Il giudice amministrativo bulgaro, adito dall’agenzia interinale che si opponeva al provvedimento di diniego al rilascio del certificato, ha interessato la CGUE, richiesta di acclarare la seguente questione pregiudiziale: se, in riferimento alle agenzie di somministrazione, le regole euro-unitarie sul distacco – che prevedono per le imprese che esercitino “attività abituale” nello Stato in cui sono stabilite la possibilità di inviare lavoratori ad aziende utilizzatrici stabilite in Stati membri diversi, senza che ciò comporti la necessaria iscrizione dei lavoratori in parola al sistema previdenziale dello Stato membro di destinazione – vadano interpretate nel senso che l’agenzia debba svolgere attività “di somministrazione” nello Stato di stabilimento e non mere attività relative alla gestione dei rapporti di lavoro.
In materia previdenziale, come noto, il principio di riferimento è quello c.d. lex loci laboris, espresso dall’art. 11, par. 3, lett. a) del regolamento (CE) n. 883/2004, principio secondo il quale la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro.
In alcune situazioni particolari, tuttavia, l’applicazione della regola generale subisce delle eccezioni, perché “rischierebbe non già di evitare, bensì, al contrario, di creare, tanto per il lavoratore quanto per il datore di lavoro e gli enti previdenziali, complicazioni amministrative che potrebbero ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone rientranti nell’ambito di applicazione del suddetto regolamento” (punto 35 della sentenza e giurisprudenza ivi citata). Tra tali eccezioni rientra l’istituto del distacco (di cui all’art. 12 del regolamento (CE) n. 883/2004), secondo il quale la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro “che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro (…)”.
Può pertanto rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione il lavoratore distaccato il cui datore di lavoro ha un legame particolare con lo Stato membro in cui è stabilito, in quanto tale datore di lavoro “esercita abitualmente le sue attività” in tale Stato membro.
Ciò premesso, il punto nodale della pronuncia risiede nell’interpretazione dell’espressione “attività abituale”. Ebbene, la Corte di Giustizia, (cfr. punto 43), pur riconoscendo che nel caso di specie le attività di selezione, assunzione e messa a disposizione di lavoratori interinali presso imprese utilizzatrici non possano essere considerate “mere attività di gestione interna”, ai sensi dell’art. 14, par. 2, del regolamento (CE) n. 987/2009, ritiene tuttavia che dette attività non siano sufficienti ai fini del riconoscimento dell’esercizio abituale delle attività nello Stato di stabilimento. A tal fine, occorrerebbe invece, secondo la Corte, che essa svolga parimenti e “in maniera significativa” attività di messa a disposizione di tali lavoratori nello Stato membro in cui è stabilita.
La soluzione adottata, basata su un’interpretazione restrittiva dell’art. 12, par. 1, del regolamento (CE) n. 883/2004, non nega in radice la possibilità di differenziali previdenziali fra i vari stati UE. Infatti, il regolamento (CE) n. 883/2004 è inteso coordinare i sistemi di sicurezza sociale diversi, nell’implicito presupposto di una loro permanente differenziazione e “coesistenza”. In tal senso, la libertà di stabilimento consentirebbe alle imprese di beneficiare delle differenze di “costo” previdenziale dei lavoratori, ma – precisa la Corte – impedisce loro di approfittare di distorsioni patologiche del sistema e di dinamiche di vero e proprio dumping, inteso come pressione al ribasso fra sistemi sociali di Paesi diversi e generalizzata riduzione del livello di tutela fornito da questi ultimi.
Tale opzione ermeneutica ha ricadute anche sulla verifica da condurre ai fini della genuinità del distacco ai sensi dell’art. 3, comma 2 lett. e) e f), D.Lgs. n. 136/2016 – che fanno riferimento al “luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale” e all’“l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento” – di recepimento dell’art. 4 direttiva 2014/67/UE, in cui sostanzialmente si evidenzia il principio secondo il quale l’attività svolta nel Paese di stabilimento dall’impresa distaccante non può consistere nella mera amministrazione o gestione interna (con formula sovrapponibile cfr. l’art. 14 par. 2 del reg. 987/2009).
Pertanto, in coerenza con l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia vanno aggiornate le Linee guida sul distacco transnazionale (nota prot. n. 622/2019). In quel contesto, ai fini della predetta valutazione si era posta evidenza, in relazione alle prestazioni transnazionali di somministrazione, sulla necessità di focalizzare l’attenzione sui dati di fatturato concernenti la specifica attività interinale non avendo riguardo, invece, alla fatturazione concernente le eventuali ulteriori attività – segnatamente produttive – pur riconducibili all’oggetto sociale ed esercitate dell’impresa.
Alla luce della sentenza della Corte in commento, va ulteriormente specificato che l’acquisizione dei dati di fatturato dovrà riguardare in modo specifico la messa a disposizione di lavoratori nei confronti di imprese utilizzatrici stabilite nel medesimo SM di stabilimento dell’impresa interinale; dati questi che vanno rapportati, secondo l’indicazione della Corte, al complessivo fatturato conseguito, comprensivo quindi anche del ricavato derivante dalle operazioni transnazionali di somministrazione.
Ne consegue che anche in presenza di un’attività di selezione e reclutamento del personale effettuata nel Paese di stabilimento, l’assoluta prevalenza della messa a disposizione del personale presso Stati membri diversi comporta la contestazione della genuinità del distacco con gli esiti di cui al D.Lgs. n. 136/2016 e l’avvio della procedura, a cura dell’INPS, di contestazione dei certificati A1 eventualmente rilasciati dallo SM di stabilimento.
Resta fermo che, nei confronti dei singoli lavoratori somministrati e a prescindere dalla valutazione effettuata nei confronti dell’Agenzia interinale nel suo complesso avrà rilievo, ai fini del disconoscimento del singolo distacco, la circostanza del loro abituale impiego in somministrazione in altri Paesi dell’Unione diversi da quello di stabilimento (cfr. art. 4, par. 3 lett. c) e art. 3, comma 3 lett. b).
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