TAR di Trento: fusione aziendale e richiesta di CIGO
Il TAR di Trento, con sentenza n. 135 del 13 aprile 2017, ha ritenuto non accoglibile una richiesta di CIGO per un’impresa che aveva operato una fusione con un’altra azienda (art. 2504 -bis c.c.) con l’obiettivo di una razionalizzazione dell’organizzazione sotto un unico soggetto imprenditoriale.
Tra l’altro la richiesta era stata presentata all’INPS quattro mesi dopo la fusione e motivata, per le due unità produttive interessate, presso le quali erano stati “spalmati” i 20 dipendenti dell’impresa incorporata, dalla causale “mancanza di commesse”.
Secondo i giudici amministrativi il potenziamento degli organici aziendali e la mancanza di ulteriori commesse, nei mesi immediatamente successivi alla fusione, rientra nel rischio d’impresa, soprattutto se il datore di lavoro non ha dimostrato che erano previste commesse e che queste sono, poi, venute meno.
N. 00135/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00285/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 285 del 2016, proposto dalla società Sapes Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Filippo Valcanover e Andrea Valorzi, elettivamente domiciliata in Trento, via Calepina n. 65, presso lo studio dell’avvocato Andrea Valorzi;
contro
l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, unitamente e disgiuntamente dagli avvocati Carlo Costantino De Pompeis e Vincenzo Stumpo, con domicilio eletto in Trento, via Delle Orfane n. 8, presso la locale Sede Provinciale dell’Istituto;
per l’annullamento
dei seguenti atti: A) nota dell’INPS, sede di Trento, in data 25 agosto 2016, con cui è stata comunicata la reiezione della domanda di CIG ordinaria presentata dalla società ricorrente in data 6 aprile 2016, per il periodo 4 aprile 2016 – 2 luglio 2016, riguardo allo stabilimento ubicato in Borgo Chiese (già Condino), via Roma n. 160; B) nota dell’INPS, sede di Trento, in data 18 ottobre 2016, nella parte in cui è stata accolta solo in parte la domanda di CIG ordinaria presentata dalla società ricorrente in data 6 aprile 2016 per il periodo 4 aprile 2016 – 2 luglio 2016, riguardo allo stabilimento ubicato in Storo, via E. Miglio n. 11; C) ogni atto presupposto, connesso o consequenziale, ancorché non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’INPS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017 il dott. Carlo Polidori e uditi gli avvocati Andrea Maria Valorzi e Carlo De Pompeis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società ricorrente – operante nel settore della produzione e commercio di materiali stampati a caldo e a freddo – in punto di fatto riferisce quanto segue: A) con atto notarile in data 11 dicembre 2015 essa ha incorporato la società O.G. Officine Giudicariensi (di seguito denominata società O.G.), operante nel medesimo settore, a mezzo di uno stabilimento situato a Condino (ora Borgo Chiese) adiacente quello della ricorrente medesima; B) nel progetto di fusione in data 8 settembre 2015 l’operazione di fusione per incorporazione è motivata con il seguente obiettivo: «la presente operazione di fusione viene proposta nell’ambito di un programma di riorganizzazione societaria» e, come si evince dal verbale dell’assemblea della ricorrente medesima in data 24 settembre 2015, «la proposta di fusione delle due società è principalmente giustificata dalla volontà di razionalizzare le attività svolte dalle medesime, accentrandole sotto un unico soggetto imprenditoriale, con conseguente diminuzione dei costi gestionali ed amministrativi»; C) per effetto di tale operazione societaria essa è subentrata in tutte le posizioni della società O.G. e conseguentemente 20 dipendenti di tale società (19 operai ed un impiegato) sono stati traferiti negli stabilimenti della ricorrente medesima di Borgo Chiese e Storo; D) in data 6 aprile 2016 essa ha presentato all’INPS, in relazione al periodo aprile-luglio 2016 (pari a 13 settimane), due distinte domande di CIG ordinaria, una per 61 lavoratori, (di cui 16 ex dipendenti della società O.G.) impiegati presso lo stabilimento di Borgo Chiese, per un totale di 31.720 ore, motivata da una «flessione di mercato con conseguente calo di commesse», ed una per 45 lavoratori (di cui 4 ex dipendenti della società O.G.) impiegati presso lo stabilimento di Storo, per un totale di 22.230 ore, motivata anch’essa da una «flessione di mercato con conseguente calo di commesse»; E) ad entrambe le domande è stata allegata una dichiarazione della legale rappresentate della medesima società con cui si attesta quanto segue: «l’azienda ha dovuto ricorrere all’intervento della Cassa Integrazione Guadagni per contrazione dell’attività produttiva, ma la nostra azienda utilizzerà la sospensione per la CIGO a seconda delle entità delle commesse che perverranno prossimamente. Le prospettive generali dell’azienda rimangono solide»; F) con le impugnate note è stato comunicato che la Commissione Provinciale per la CIG ha respinto integralmente la prima domanda e parzialmente la seconda domanda; G) in particolare, quanto alla domanda relativa allo stabilimento di Borgo Chiese, il rigetto integrale della stessa (di cui alla nota del 25 agosto 2016) è stato così motivato: «per ogni settimana si fa presente quanto segue: con il mese di dicembre 2015 la dimensione aziendale è stata implementata di 15 unità provenienti da O.G. con un aumento delle risorse disponibili. La sospensione/riduzione dell’attività appare quindi imputabile a scelte di organiz. e programma az.le e come tale imputabile all’imprenditore e non integrabile. Si respingono quindi per ogni settimana le ore corrispondenti alle nuove unità acquisite (15) nonché le ore richieste a preventivo per gli altri operai/impiegati ma non utilizzate (come da nuovo quadro g allegato)»; H) quanto alla domanda relativa allo stabilimento di Storo il parziale rigetto della stessa (842 ore autorizzate, rispetto alle 22.230 ore richieste) è stato così motivato: «per ogni settimana si fa presente quanto segue: con il mese di dicembre 2015 la dimensione aziendale è stata implementata di 4 unità provenienti da O.G., con un aumento delle risorse disponibili. La sosp./riduz. dell’attività appare quindi imputabile a scelte di organizz. aziendale e come tale imputabile all’imprenditore e non integrabile. Si respingono quindi per ogni settimana le ore corrispondenti alle nuove unità acquisite (4) nonché le ore richieste a preventivo per gli altri operai/impiegati ma non utilizzate (v. nuovo quadro g prodotto a consultivo)».
2. Avverso i provvedimenti impugnati la società ricorrente deduce, quindi, le seguenti censure.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del decreto legislativo n. 148/2015. La ricorrente – premesso che i provvedimenti impugnati motivano in maniera pressoché identica il rigetto totale e parziale delle suddette domande, facendo riferimento soltanto alla procedura di fusione con la società O.G. – deduce che: A) come si evince dai documenti relativi alla fusione, tale operazione è stata posta in essere al fine di razionalizzare l’attività gestionale ed amministrativa della ricorrente stessa e della società O.G., visto che quest’ultima era già gestita dalla ricorrente ed operava nel medesimo settore produttivo; B) l’operazione di fusione, quale mero atto di razionalizzazione gestionale e amministrativa, non ha avuto alcuna rilevanza esterna e, quindi, non poteva essere posta a fondamento del rigetto delle domande di CIG ordinaria anche perché, ai sensi dell’art. 2504-bis cod. civ., per effetto della fusione la società incorporante assume: “i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”; C) la neutralità delle operazioni di fusione è stata già acclarata anche da questo Tribunale in altre occasioni (T.R.G.A. Trento, 21 agosto 2015, n. 335; id., 15 giugno 2016, n. 259); D) nel caso in esame la riduzione dell’attività lavorativa non è dipesa dall’operazione di fusione, bensì da una temporanea crisi di mercato, che ha determinato una contrazione dell’attività produttiva pari a circa un milione di euro per ciascun mese (con un picco di un milione e mezzo nel mese di luglio 2016), comprovata dalla documentazione in atti; E) con riferimento a tale contrazione dell’attività produttiva nulla si evince dai provvedimenti impugnati.
II) Eccesso di potere per contraddittorietà rispetto all’accoglimento parziale della domanda di CIGO presentata per lo stabilimento di Storo e difetto di motivazione. La ricorrente si duole del fatto che i provvedimenti impugnati siano supportati da una motivazione praticamente identica, sebbene la domanda relativa allo stabilimento di Borgo Chiese sia stata integralmente rigettata, mentre quella relativa allo stabilimento di Storo è stata in parte accolta.
3. L’INPS si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 3 marzo 2017 ha replicato alle suesposte censure osservando che i costi delle operazioni di «potenziamento aziendale», se non incontrano un corrispondente incremento della domanda del mercato, non possono essere posti a carico della collettività e, quindi, l’Istituto ha considerato giustificato l’intervento della CIG ordinaria solo per il personale già dipendente della società incorporante, dovendo invece rimanere a carico della stessa i costi relativi al personale della società incorporata, che si è rivelato non necessario. In particolare con riferimento al primo motivo l’INPS ha controdedotto quanto segue: A) la ricorrente, a fronte della temporanea carenze di commesse ha solo diminuito i ritmi produttivi, riducendo le ore di lavoro limitatamente a una parte degli operai e per un dipendente amministrativo, e ciò significa che la crisi temporanea di mercato è stata contenuta; B) se nel trimestre oggetto delle domande il personale non fosse stato incrementato, il numero di operai costretti a ridurre l’attività sarebbe stato inferiore e coincidente con quelli originariamente alle dipendenze della ricorrente, operanti nello stabilimento di Storo, per i quali è stata concessa l’integrazione salariale; C) in definitiva rientra nel rischio di impresa la possibilità che nei primi tempi successivi ad un’operazione di fusione la società incorporante si venga a trovare in una situazione di esubero del personale a causa di un incremento della forza lavoro non bilanciato da un corrispondente incremento delle commesse; D) controparte per giustificare la propria pretesa avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di nuove commesse di entità tale da richiedere l’utilizzo di un numero di lavoratori maggiore di quello originario, acquisito per l’appunto mediante l’incorporazione di altra società. L’INPS ha poi chiarito le ragioni delle diverse determinazioni assunte in relazione alle due istanze. In particolare, quanto alla domanda relativa allo stabilimento di Borgo Chiese (integralmente rigettata), è stato evidenziato che: A) la ricorrente ha chiesto l’intervento della CIG ordinaria per tutto il personale, pari a 61 dipendenti (di cui 55 operai e 6 impiegati), per un totale di 31.720 ore, motivandolo con una flessione di mercato con conseguente calo di commesse; B) tale domanda – inoltrata in data 6 aprile 2016 per il trimestre appena iniziato il 4 aprile (ossia due giorni prima) – non era però attendibile, a fronte della successiva limitazione delle ore di lavoro non effettuate a sole 1.552 (pari al 5% di quelle originariamente previste) e solo per una ventina di dipendenti; C) l’ammontare complessivo delle ore di lavoro a tempo pieno che potevano effettuare i 15 lavoratori aggiuntivi (ossia provenienti dalla società incorporata), pari a 7.800 ore (8 ore al giorno x 5 giorni a settimana x 13 settimane x 15 dipendenti), è risultato di gran lunga superiore rispetto alle 1.552 ore di riduzione effettiva dell’attività lavorativa, sicché non vi sarebbe stata alcuna contrazione dell’attività lavorativa se il numero dei dipendenti non fosse stato incrementato per effetto della fusione. Per quanto riguarda lo stabilimento di Storo: A) il parziale rigetto della domanda – 842 ore di CIG ordinaria autorizzate, a fronte delle 22.230 ore richieste anticipatamente per 43 dipendenti su 45 – è dipeso dal fatto che l’attività lavorativa è stata sospesa in misura pari a sole 2.028 ore e per non più di 6/7 operai per volta; B) essendo state utilizzate solo 4 unità lavorative provenienti dalla società incorporata, le ore di lavoro che costoro potevano effettuare sono pari a 160 a settimana (8 ore al giorno x 5 giorni a settimana x 4 dipendenti) e, quindi, con riferimento ad ogni settimana l’integrazione salariale è stata concessa solo per le ore eccedenti le 160 a settimana. In definitiva le domande presentate dalla ricorrente erano a carattere «precauzionale» e volte a compensare il surplus di maestranze acquisite con la fusione societaria, ma non immediatamente utilizzabili a pieno regime, e non certo conseguenti ad una crisi di mercato avente carattere di straordinarietà, imprevedibilità e non imputabilità a scelte imprenditoriali, come invece richiesto dalla legge per giustificare l’intervento della CIG ordinaria.
4. La società ricorrente con memoria di replica depositata in data 16 marzo 2017 ha insistito per l’accoglimento del ricorso osservando che: A) già prima della fusione le due società rappresentavano un’unica realtà aziendale e, quindi, posto che «la fusione non ha avuto effetti reali (sia prima, sia dopo la fusione i lavoratori hanno continuato a svolgere le medesime attività negli stessi luoghi di lavoro) o rilevanza esterna e/o produttiva», non si può ritenere – a differenza di quanto affermato da controparte – che vi sia stato un potenziamento aziendale; B) erra controparte, anche quando afferma che gli effetti del dichiarato calo delle commesse sarebbero stati minori se non vi fosse stato un incremento del personale, in quanto, «fermo restando che non vi è stato alcun incremento del personale, se non fosse intervenuta la fusione delle società vi sarebbe stato comunque il medesimo calo di commesse che si sarebbe suddiviso tra OG e SAPES, costringendo le due società a formulare distinte domande di CIGO»; C) parimenti errate sono le valutazioni svolte da controparte sulle effettive ore di CIG ordinaria richieste nei singoli stabilimenti di Borgo Chiese e di Storo, perché l’Istituto «compara la situazione SAPES post fusione (che comprende SAPES + OG) … con la sola situazione SAPES ante fusione (quindi considerando solo SAPES)», senza considerare che la fusione si configura come un’operazione neutra ai fini delle richieste di CIG ordinaria.
5. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2017 il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. Ai fini dell’esame del primo motivo di ricorso giova innanzi tutto rammentare che la disposizione dell’art. 1 della legge n. 164/1975 – ove, tra i presupposti dell’integrazione salariale ordinaria per contrazione o sospensione dell’attività produttiva, erano previste sia le situazioni aziendali “dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai”, sia quelle “determinate da situazioni temporanee di mercato” – risulta attualmente trasfusa nell’art. 11 del d.lgs. n. 148/2015, che dispone come segue: “ai dipendenti delle imprese indicate all’articolo 10, che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto è corrisposta l’integrazione salariale ordinaria nei seguenti casi: a) situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, ivi incluse le intemperie stagionali; b) situazioni temporanee di mercato”. Giova poi rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza, formatasi con riferimento alla previgente disciplina, ma da ritenersi applicabile anche alla luce della già menzionata disposizione dell’art. 11 del d.lgs. n. 148/2015, il tratto comune delle due fattispecie consiste nel fatto la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale presuppone una situazione di temporanea crisi produttiva, connessa ad accadimenti transitori e contingenti, avulsi dalle possibilità di controllo dell’imprenditore; diversamente, l’istituto si tradurrebbe in un meccanismo automatico di socializzazione del rischio di impresa. In definitiva la c.d. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e di prevedibilità dell’imprenditore, sia che attengano a fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dell’attività d’impresa), sia che attengano a fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa, come il factum principis, o l’illecito del terzo (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2010, n. 8129). Invece l’evento va ascritto al datore di lavoro laddove rientri nel c.d. rischio d’impresa, come ad esempio nel caso dell’inadempimento di un soggetto legato contrattualmente all’imprenditore (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6512).
2. Passando alla fattispecie in esame, il Collegio preliminarmente osserva che la società ricorrente con le due domande presentate in data 6 aprile 2016 ha chiesto di poter beneficiare della CIG ordinaria sia per i dipendenti già in forza prima della fusione con la società O.G., sia per quelli passati alle sue dipendenze per effetto della fusione. Per i primi – e, in particolare, per quelli operanti presso lo stabilimento di Storo – la domanda è stata parzialmente accolta, mentre per i lavoratori transitati alle dipendenze della ricorrente in forza della fusione entrambe le domande sono state respinte dall’INPS, in quanto per costoro non si potrebbe configurare una sospensione/riduzione della prestazione lavorativa imputabile ad una situazione temporanea di mercato; difatti al momento della presentazione delle domande di concessione del trattamento di integrazione salariale la programmazione aziendale era ben chiara, e se nel trimestre oggetto delle domande il personale della ricorrente non fosse stato incrementato, il numero di dipendenti costretti a ridurre l’attività lavorativa, per effetto del dichiarato calo delle commesse, sarebbe stato inferiore e coincidente con quello degli operai originariamente alle dipendenze della sola ricorrente, operanti nello stabilimento di Storo, per i quali è stata concessa l’integrazione salariale. In altri termini, secondo l’INPS (cfr. anche la memoria depositata in data 3 marzo 2017), come può desumersi dal progetto di fusione in data 8 settembre 2015 e dal verbale dell’assemblea della società ricorrente in data 24 settembre 2015, la fusione per incorporazione della società O.G. sarebbe frutto di una scelta di organizzazione aziendale, imputabile esclusivamente alla società ricorrente, che non potrebbe quindi beneficiare della socializzazione del costo del lavoro relativo ai dipendenti della società incorporata.
3. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso non possa essere accolto alla luce delle seguenti considerazioni. Innanzi tutto da un attento esame della motivazione dei provvedimenti impugnati, ulteriormente illustrata dall’INPS nella memoria depositata in data 3 marzo 2017, si evince che tali provvedimenti sono supportati da una duplice motivazione, incentrata non solo sul fatto che l’operazione di fusione è frutto di una scelta organizzativa imputabile esclusivamente alla società ricorrente, ma anche sul minor numero delle «ore richieste a preventivo per gli altri operai/impiegati ma non utilizzate», che passano da 31.720 ore a sole 1.552 ore per lo stabilimento di Borgo Chiese e da 22.230 ore a 2.028 ore per lo stabilimento di Storo (cfr. al riguardo i prospetti denominati «nuovo quadro g», richiamati nella motivazione dei provvedimenti impugnati e prodotti in giudizio dall’INPS). Ciononostante le censure dedotte con il motivo in esame riguardano soltanto la prima parte della motivazione; difatti la società ricorrente si duole essenzialmente del fatto che l’INPS: A) abbia qualificato l’operazione di fusione come un vero e proprio «potenziamento aziendale», senza considerare che la fusione è un’operazione neutra ai fini delle richieste di CIG ordinaria; B) non abbia invece considerato che la sospensione dell’attività lavorativa non è dipesa dall’operazione di fusione, bensì da una temporanea crisi di mercato che ha determinato una contrazione dell’attività produttiva. Inoltre il Collegio osserva che – a differenza di quanto affermato dalla società ricorrente – l’INPS ha tenuto conto della temporanea crisi di mercato prospettata con le domande in questione, come dimostra il fatto che la domanda relativa allo stabilimento di Storo è stata parzialmente accolta. Resta allora solo da verificare se colga o meno nel segno la ricorrente quando deduce che già prima della fusione le due società costituivano un’unica realtà aziendale e, quindi, stante la neutralità dell’operazione di fusione, non si può ritenere che la stessa abbia determinato un potenziamento aziendale. Al riguardo il Collego osserva che non sono in discussione in questa sede gli effetti della operazione di fusione, come delineati dall’art. 2504-bis cod. civ. (in forza del quale “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”), ma occorre chiedersi piuttosto se in presenza della scelta aziendale di procedere ad una operazione di fusione per incorporazione in presenza di una situazione di crisi aziendale si configurino o meno i presupposti per giustificare la concessione dell’integrazione salariale ordinaria per contrazione dell’attività produttiva. A tale quesito il Collegio ritiene che non possa essere data risposta positiva per le ragioni indicate nella motivazione dei provvedimenti impugnati e ulteriormente illustrate dall’INPS nella memoria depositata in data 3 marzo 2017. La stessa ricorrente ha posto in rilievo come l’operazione di fusione sia motivata: A) nel progetto di fusione in data 8 settembre 2015, con l’obiettivo di attuare «un programma di riorganizzazione societaria»; B) nel verbale dell’assemblea in data 24 settembre 2015, con la «volontà di razionalizzare le attività svolte dalle medesime, accentrandole sotto un unico soggetto imprenditoriale, con conseguente diminuzione dei costi gestionali ed amministrativi». Inoltre, proprio per effetto della successione nei rapporti di lavoro con i 20 dipendenti della società O.G., prevista dall’art. 2504-bis cod. civ., e del successivo trasferimento degli stessi negli stabilimenti della ricorrente medesima di Borgo Chiese e di Storo si è verificato il «potenziamento aziendale» che ha determinato una maggiore richiesta di intervento della CIG ordinaria. In definitiva coglie nel segno l’Istituto quando afferma che rientra nel rischio di impresa la possibilità che nei primi tempi successivi alla fusione la società incorporante si venga a trovare in una situazione di esubero del personale, a causa di un incremento della forza lavoro non compensato da un corrispondente incremento delle commesse, e che la ricorrente a supporto delle proprie domande avrebbe dovuto semmai dimostrare che la fusione era connessa all’esistenza di nuove commesse, di entità tale da richiedere un maggior numero di lavoratori, e che tali commesse sono poi venute meno. Il primo motivo del ricorso è, quindi, infondato.
4. Neppure il secondo motivo, relativo alla pretesa contraddittorietà e alla carenza di motivazione del diniego, può essere accolto, perchè l’INPS nella memoria depositata in data 3 marzo 2017 ha chiarito le ragioni per cui la domanda relativa allo stabilimento di Borgo Chiese è stata integralmente respinta, mentre quella relativa allo stabilimento di Storo è stata respinta solo in parte, e tali ragioni sono del tutto condivisibili. In particolare, mentre la prima domanda è stata rigettata perché l’ammontare delle ore lavorative che potevano effettuare i 15 dipendenti provenienti dalla società incorporata è risultato di gran lunga superiore rispetto alla riduzione effettiva delle prestazioni lavorative conseguente al calo delle commesse, invece il parziale rigetto della domanda relativa allo stabilimento di Storo è dipeso dal fatto che l’Istituto ha concesso l’integrazione salariale per le ore eccedenti quelle che potevano effettuare i 4 lavoratori provenienti dalla società incorporata.
5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto perché infondato. Tuttavia, tenuto conto della peculiarità delle questioni trattate – e, in particolare, dei precedenti invocati dalla ricorrente in materia di trattamento di integrazione salariale, seppure relativi a fattispecie diverse da quella in esame – sussistono comunque giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino – Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 285 del 2016, lo respinge perché infondato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Roberta Vigotti, Presidente
Carlo Polidori, Consigliere, Estensore
Antonia Tassinari, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Carlo Polidori | Roberta Vigotti | |
IL SEGRETARIO