AZIONE – ITALIA VIVA – il programma completo
Il mercato del lavoro è improntato a un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti. Le imprese che operano in modo regolare sono sovraccaricate di costi, oneri e procedure molto pesanti, mentre le aziende che scelgono di collocarsi ai confini della legalità riescono a violare ogni regola. Il lavoro flessibile – quello che offre garanzie, tutele e opportunità di ingresso nel mercato del lavoro – viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari e illeciti si diffondono senza ostacoli efficaci.
Troppo spesso misure e proposte politiche si focalizzano solo sul lavoro dipendente. Tuttavia, sono 800mila i lavoratori indipendenti che dal 2009 hanno chiuso la loro attività. Solamente nel 2020 si sono persi 154mila posti di lavoro indipendente, di cui circa 38mila liberi professionisti. Sono ancora numerosissime le difficoltà per chi decide di praticare la libera professione. Dal trattamento a livello pensionistico rispetto al lavoro dipendente alla discriminazione che porta all’esclusione da incentivi e agevolazioni concessi ad altri soggetti economici. La strada per una piena uguaglianza è ancora lontana.
Introdurre un salario minimo
L’esigenza di garantire a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali: una legge sulla rappresentanza che combatta il fenomeno dei contratti-pirata e assicuri che siano validi solo i contratti collettivi firmati da organizzazioni realmente rappresentative; la validità erga omnes dei contratti, assicurando la massima copertura di ogni tipologia di lavoro residuale, e la fissazione di un minimo di ultima istanza. Inoltre, i meccanismi previsti in altre parti del programma (vedi minimo esente e imposta negativa) assicurano ulteriormente l’innalzamento del reddito disponibile per i lavoratori poveri.
Detassare i premi di produttività
Stimolare la produttività del lavoro riducendo le tasse che si pagano sulla retribuzione erogata per premiare gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi.
Supportare le imprese che investono in riqualificazione della forza lavoro (non solo dipendente)
Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per mancanza di candidati o inadeguatezza degli stessi (con picchi del 60% in alcuni settori come quello della lavorazione della carta e del legno). È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro.
Proponiamo un rimborso per tutte le imprese che, in coordinamento con il MISE, organizzino tramite gli ITS e altri enti di formazione, corsi specialistici organizzati per la creazione delle competenze richieste dal mercato (non solo in innovazioni). Tali corsi dovrebbero essere aperti sia a personale interno da riqualificare, sia a lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare colloqui al termine del periodo di formazione.
Combattere la precarietà promuovendo la flessibilità regolare
Il decreto Dignità, combattendo il precariato, ha perseguito un obiettivo giusto in maniera totalmente sbagliata, penalizzando il lavoro flessibile regolare e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato (false partite IVA, collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti illeciti). Sono queste le forme da combattere, aumentando vigilanza e sanzioni.
Nella stessa ottica, bisogna accorpare e cancellare la miriade di “mini contratti” utilizzati per le forme di lavoro brevi, ripristinando i voucher che regolavano in maniera corretta e trasparente rapporti che, oggi, sono tornati nel limbo dei contratti irregolari.
Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione
Bisogna riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Per questo va lanciato un piano straordinario per la semplificazione, finalizzato a cancellare tutte le procedure e le regole inutili e inefficienti; in questo modo si ridurrebbero anche le forme di contenzioso basate su violazioni formali, oggi molto diffuse, che minano la competitività del nostro mercato del lavoro senza offrire alcuna garanzia aggiuntiva ai lavoratori.
Eliminare il Reddito di Cittadinanza dopo il primo rifiuto e ridurlo dopo 2 anni
Il Reddito di Cittadinanza (“RdC”) è uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti. Chi ne ha usufruito non ha trovato lavoro, non è riuscito a formarsi professionalmente e non ha partecipato a progetti di pubblica utilità come previsto dalla normativa. A fronte di 20 miliardi spesi nel primo anno e mezzo, lo strumento ha generato nuova occupazione a tempo indeterminato per meno del 4,5% dei percettori. Tra i percettori emerge una grande eterogeneità, in particolare per quanto riguarda la prossimità col mercato del lavoro e l’occupabilità: 70,7% dei percettori sono senza alcuna esperienza professionale nei tre anni precedenti e oltre il 72,6% dei beneficiari ha completato al massimo le scuole medie. Infine, lo strumento si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà: 56% delle famiglie in condizione di povertà assoluta non riceve il RdC, mentre 36% dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Per questo occorre introdurre delle modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego e l’inserimento nel mercato del lavoro e rendano più giusti e inclusivi i criteri di accesso. Proponiamo che il sussidio venga tolto dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi sociali del Comune.
Adottare modifiche sostanziali che eliminino le iniquità esistenti nella struttura del sussidio
(a danno delle famiglie numerose e a coloro che vivono nelle grandi aree urbane)
Consentire concretamente alle agenzie private di trovare lavoro ai percettori del reddito
I Centri per l’impiego non sono stati efficaci nel favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro – come dimostra la scarsa percentuale di percettori del Reddito di cittadinanza che è riuscita a trovare un’occupazione. Per questo è necessario consentire alle agenzie private per il lavoro di accedere ai dati dei percettori del reddito, al fine di poter affiancare i centri per l’impiego nella ricerca del lavoro. È inoltre fondamentale che le agenzie private svolgano colloqui mensili obbligatori con i percettori del reddito al fine di monitorare la ricerca di lavoro ed individuare eventuali esigenze formative. Il sussidio deve essere rimosso per i percettori che non partecipano ai colloqui.
Utilizzare ITS e scuole di alta formazione per potenziare formazione dei percettori del sussidio
In Italia abbiamo un problema molto rilevante di mancanza di forza lavoro qualificata rispetto ai lavori richiesti (skills mismatch). È fondamentale quindi potenziare la formazione dei percettori del Reddito di cittadinanza: bisogna prevedere corsi obbligatori da pianificare a livello nazionale sulla base del fabbisogno e dello skill mismatch misurato mese per mese dall’Anpal (a maggio 2022 il 40% delle posizioni era di difficile reperimento) e dalle agenzie private per il lavoro nel corso dei colloqui mensili con i percettori del sussidio. L’erogazione della formazione dovrà essere esternalizzata alle scuole di alta formazione pubbliche e private e agli ITS.
Semplificare le regole per l’attivazione dei progetti di pubblica utilità e coprirne i costi
Un altro meccanismo del RdC che non funziona riguarda l’obbligo (teorico) dei percettori di partecipare per otto ore a settimana a progetti di pubblica utilità organizzati da enti del terzo settore. Oggi questo non avviene a causa di complessi iter burocratici. È quindi necessario semplificare le procedure per l’attivazione di progetti da parte del terzo settore, prevedendo anche coperture di bilancio per le spese di strumentazione e di assicurazione dei percettori. Se gli attuali percettori del RdC lavorassero otto ore a settimana come previsto, il terzo settore beneficerebbe di circa 350mila addetti full time (già retribuiti). Un aumento di circa il 38% degli addetti attualmente impiegati nel terzo settore.
Consentire ai lavoratori autonomi di partecipare ai bandi nazionali e regionali come le imprese
I professionisti e i lavoratori autonomi sono frequentemente esclusi da strumenti di incentivo delle attività produttive e da agevolazioni fiscali, in quanto per usufruire di tali strumenti è necessaria l’iscrizione alle Camere di Commercio. Tale requisito, di fatto, emargina i professionisti iscritti ad un albo professionale. Per questo riteniamo necessario equiparare, ai fini della partecipazione a bandi nazionali e regionali, l’iscrizione agli albi e agli ordini professionali da parte dei liberi professionisti all’iscrizione alla Camera di Commercio da parte delle imprese.
Incentivare la crescita dimensionale degli studi professionali
Uno degli elementi di debolezza delle attività dei lavoratori autonomi in Italia risiede nelle dimensioni contenute degli studi professionali, sia dal punto di vista del numero dei professionisti occupati, sia per quanto riguarda il capitale finanziario impegnato. In un mercato sempre più complesso e diversificato, la crescita competitiva passa inevitabilmente attraverso l’aggregazione multidisciplinare. Al momento, tuttavia, vi sono fortissime barriere fiscali per chi vuole formare una Società tra Professionisti (STP), la quale comporta un incremento sostanziale del carico fiscale. Occorre intervenire su questo aspetto, eliminando il disincentivo fiscale e intervenendo anche sulle problematiche di carattere normativo, contributivo e disciplinare.
Completare la riforma sull’equo compenso delle prestazioni professionali
Il disegno di legge sull’equo compenso dell’ultima legislatura è un buon punto di partenza ma necessita comunque di importanti modifiche per giungere alla sua piena ed effettiva applicazione. Inoltre, vanno sanate situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti” (imprese bancarie e assicurative nonché le imprese diverse dalle PMI).
Potenziare la cassa integrazione per i professionisti e le politiche attive per gli autonomi
La legge di bilancio 2021 ha istituito, in via sperimentale per il triennio 2021-2023, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa: essa rappresenta una sorta di cassa integrazione facoltativa dedicata agli autonomi che si trovano in particolari situazioni di difficoltà. Il provvedimento si è rivelato pieno di vincoli, che ne hanno compromesso fortemente le potenzialità soprattutto a causa dei requisiti di accesso troppo restrittivi. In attesa del completamento del triennio di sperimentazione, è bene correggere fin da subito le maggiori criticità della misura, partendo dalla riduzione dell’aliquota contributiva da versare all’INPS e dalla rimodulazione dei criteri di accesso. Contestualmente andranno definiti, attraverso nuovi percorsi di politiche attive, gli strumenti necessari per l’aggiornamento professionale dei lavoratori autonomi, come ad esempio gli accordi con le associazioni di categoria. L’obiettivo ultimo deve essere quello di garantire misure di riqualificazione per mantenere, ed eventualmente anche innalzare, la competitività nel mercato del lavoro.
Istituire un sistema opzionale di mensilizzazione del versamento delle imposte dirette per i lavoratori autonomi
Il sistema del saldo e dell’acconto va riformato. Occorre offrire ad un lavoratore autonomo la possibilità di mensilizzare il versamento delle imposte dirette, spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di giugno e da gennaio a giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di fine novembre. |