Consulta: legittima in agricoltura l’imposizione previdenziale basata sulla stima del fabbisogno aziendale di manodopera
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 121 del 17 maggio 2019, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 375/1993, come sostituito dall’ art. 9-ter , comma 3, quinto periodo, del Decreto-legge n. 510/1996.
Secondo la Consulta l’imposizione contributiva che si basa su dati tecnici, come il bestiame allevato o il tipo di colture è compatibile con la tutela previdenziale dovuta. “Tale imposizione si traduce in un incremento dell’apporto finanziario al sistema previdenziale e dunque non pregiudica la tutela dei lavoratori, ma comporta un rafforzamento della copertura che gli Enti previdenziali possono assicurare agli stessi“.
Fonte: Corte Costituzionale
Il Comunicato della Consulta
Le obiettive difficoltà di accertamento dei rapporti di lavoroagricolo e le esigenze antielusive fanno emergere la ragionevolezza delle disposizioni vigenti che determinano i contributi sulla base della stima delle giornate lavorate, in mancanza di una individuazione dei lavoratori effettivamente impiegati.
È quanto si afferma nella sentenza n. 121depositata oggi (relatrice Silvana Sciarra), con la quale la Corte costituzionale ha risolto i dubbi di legittimità prospettati dalla Corte d’appello di Roma.
Secondo la Consulta, l’accertamento dei contributi previdenziali agricoli basato non più su criteri presuntivi, ma sulla stima tecnica del fabbisogno di manodopera dell’azienda (previsto dall’articolo 8, comma 3, del decreto lgs. n. 375/1993, con successive modifiche) non pregiudica la tutela previdenziale dei lavoratori e non viola i principi di uguaglianza e di ragionevolezza.
Nella sentenza si afferma la piena compatibilità tra l’imposizione dei contributi per il maggior numero di giornate determinate mediante valutazioni tecniche (quali sono l’ordinamento colturale dei terreni, il bestiame allevato, i sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, anche sulla scorta di consuetudini locali) e la tutela previdenziale. Nel caso in esame, tra l’altro, l’esito è un rafforzamento del sistema previdenziale.
La Corte ha infine escluso cheil sistema diaccertamento denunciato violi l’articolo 3 della Costituzione. Infatti, ladeterminazione delfabbisogno di manodopera in relazione agli elementi distintivi di ciascuna azienda agricolanoncomportadisparità di trattamento.Il sistema contributivo contestato costituisce anche una misura antielusiva e non ha natura sanzionatoria.
SENTENZA N. 121
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi), come sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, promosso dalla Corte d’appello di Roma, sezione lavoro e previdenza, nel procedimento tra Giancarlo Trecapelli e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 9 luglio 2018, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visti l’atto di costituzione di Giancarlo Trecapelli, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 aprile 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Carlo De Angelis per Giancarlo Trecapelli e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 9 luglio 2018 (reg. ord. n. 158 del 2018), la Corte d’appello di Roma, sezione lavoro e previdenza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38, 76 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi), come sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608.
1.1.– Il giudice rimettente riferisce in punto di fatto che, con verbale di accertamento ispettivo del 5 marzo 2013, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contestava a Giancarlo Trecapelli, titolare dell’«omonima impresa agricola», «un fabbisogno di occupazione significativamente superiore alle giornate risultanti dalle dichiarazioni trimestrali denunciate dalla ditta», con riguardo agli anni 2007-2011, fabbisogno che, inizialmente quantificato in 6.165 giornate, veniva successivamente rideterminato, con un ulteriore verbale del 5 maggio 2013, in 2.687 giornate, per un complessivo debito contributivo di euro 94.637,00. Giancarlo Trecapelli chiedeva al (non meglio precisato) «Tribunale» di accertare che nulla era da lui dovuto all’INPS a tale titolo, in quanto il suddetto verbale «non conteneva l’elenco nominativo dei lavoratori per i quali la contribuzione veniva pretesa». Lo stesso Tribunale respingeva la domanda di accertamento negativo e Giancarlo Trecapelli proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. L’INPS resisteva all’appello.
1.2.– La Corte d’appello di Roma premette che l’INPS pretende il versamento dei contributi sulla base dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993. Dopo quanto previsto dal precedente comma 2 – secondo cui, «[a]i fini del raffronto tra i dati aziendali accertati e gli elementi relativi alla manodopera occupata acquisiti sulla base delle risultanze del collocamento, gli uffici dello SCAU provvedono ad una stima tecnica a mezzo visita ispettiva e determinano il numero delle giornate di lavoro occorrenti in relazione all’ordinamento colturale dei terreni, al bestiame allevato, ai sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, ai periodi di esecuzione dei lavori, nonché alle consuetudini locali […]» – il denunciato comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 375 del 1993 stabilisce che, «[q]ualora dal raffronto risulti che il fabbisogno di occupazione determinato sulla base della stima tecnica è significativamente superiore alle giornate risultanti dalle dichiarazioni trimestrali, l’INPS diffida il datore di lavoro a fornirne motivazione entro il termine di quaranta giorni. Nel caso in cui non venga fornita adeguata motivazione e non siano stati individuati i lavoratori utilizzati e le relative giornate di occupazione, l’INPS procede all’imposizione dei contributi da liquidare sulla base delle retribuzioni medie di cui all’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e successive modificazioni ed integrazioni».
Secondo il rimettente, tale disposizione «prevede la possibilità di addebitare contribuzione per lavoratori che non siano stati preventivamente individuati nominativamente e personalmente».
1.3.– Ciò premesso, la Corte d’appello di Roma espone che, con la sentenza n. 65 del 1962, la Corte costituzionale, «in materia pressoché identica», ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, degli artt. 4 e 5 del regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 (Modalità di accertamento dei contributi dovuti dagli agricoltori e dai lavoratori dell’agricoltura per le associazioni professionali, per l’assistenza malattia, per l’invalidità e vecchiaia, per la tubercolosi, per la nuzialità e natalità per l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro in agricoltura e per la corresponsione degli assegni familiari, e modalità per l’accertamento dei lavoratori dell’agricoltura), in quanto stabilivano la contribuzione in base al criterio presuntivo cosiddetto dell’ettaro-coltura anziché sulla base dell’impiego di manodopera «per ogni singola azienda agricola», nonché, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 5 del decreto legislativo 23 gennaio 1948, n. 59 (Modificazioni alla procedura e ai termini per l’accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati), nella parte in cui consentiva di lasciare sussistere il predetto sistema dell’accertamento presuntivo, con il «risultato di imporre pesi disuguali a soggetti che si trovavano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non erano in uguali condizioni» (punto 8 del Considerato in diritto). A seguito di tale sentenza, la legge 18 dicembre 1964, n. 1412 (Accertamento dei lavoratori agricoli aventi diritto alle prestazioni previdenziali e accertamento dei contributi unificati in agricoltura) previde l’obbligo dei datori di lavoro agricoli di presentare denunce periodiche dei lavoratori assunti e delle giornate da essi prestate (art. 2), «al fine di garantire la […] corrispondenza tra i periodi lavorativi e la […] copertura contributiva e per consentire la registrazione delle retribuzioni assoggettate a contribuzione per ciascun lavoratore, dato indispensabile per quantificare la prestazione previdenziale spettante a ciascun assicurato». Con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), il legislatore delegò il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti privati e pubblici, con l’osservanza, quanto alla previdenza nel settore agricolo, del principio e criterio direttivo della «razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e di accertamento e riscossione dei contributi, tenuto conto della disciplina vigente per la generalità dei lavoratori e dei principi contenuti nella legge 9 marzo 1989, n. 88, al fine di una migliore efficienza del servizio e del rafforzamento delle misure contro le evasioni e le elusioni» (art. 3, comma 1, lettera aa). In attuazione di tale delega, è stato emanato il d.lgs. n. 375 del 1993, il cui art. 6, comma 2 prescrive che, nella dichiarazione della manodopera occupata da presentare ogni trimestre, il datore di lavoro agricolo deve indicare, tra l’altro, «le generalità, la residenza ed il codice fiscale dei lavoratori occupati, nonché, per ciascuno di essi, la categoria, la qualifica, il lavoro svolto, il periodo di lavoro, il numero di giornate prestate o comunque retribuite in ciascun mese del trimestre precedente», dati «tutti […] indispensabili per poter accreditare le contribuzione sulla posizione assicurativa di ciascun lavoratore e per conoscere la retribuzione assoggettata a contributi». Con l’ordinanza n. 184 del 1999, la Corte costituzionale, nel richiamare la sentenza n. 65 del 1962, affermò che «il criterio contributivo commisurato al numero dei lavoratori occupati, alla durata, alla quantità ed alla retribuzione del lavoro prestato, risponde ad un principio generale del sistema previdenziale, che il legislatore ha apprestato per assicurare ai lavoratori prestazioni rispondenti alla garanzia costituzionale di protezione sociale (art. 38 Cost.)».
1.4.– Tutto ciò esposto, il rimettente afferma che, «quindi», il denunciato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 viola gli «artt. 76 e 77 [Cost.] in quanto reca […] disposizioni eccedenti la delega di cui all’art. 1, lettera aa) [recte: art. 3, comma 1, lettera aa)] della legge 23 ottobre 1992, n. 421», nonché gli «artt. 3 e 38 [Cost.] in quanto il criterio presuntivo dettato da tale norma conduce al risultato di imporre pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in uguali condizioni, nonché al risultato di convertire di fatto l’obbligazione contributiva in una mera ed ulteriore sanzione rispetto a quelle già previste dall’ordinamento, violando il principio per cui i contributi versati dal datore di lavoro sono specificamente destinati a finanziare, sia pur collettivamente e impersonalmente, le prestazioni previdenziali».
1.5.– Il rimettente asserisce la rilevanza della questione poiché «la norma positiva di cui si tratta impedisce l’accoglimento della domanda attorea, possibile soltanto attraverso l’eliminazione della stessa».
1.6.– Il giudice a quo solleva quindi questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993, «nella parte in cui impone all’INPS di richiedere alle imprese agricole contributi previdenziali non collegati a soggetti nominativamente individuati bensì sulla base di un fabbisogno presuntivo determinato in forza di una stima tecnica».
2.– Si è costituito nel giudizio Giancarlo Trecapelli, appellante nel processo principale, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate.
2.1.– Ad avviso della parte, la disciplina della previdenza dei lavoratori agricoli confermerebbe che, «in tanto sorge una obbligazione contributiva anche nei confronti dell’imprenditore agricolo[,] in quanto quella contribuzione […] sia suscettibile di imputazione sulla posizione assicurativa di ciascun singolo lavoratore».
Né potrebbe aversi «una obbligazione contributiva indifferenziata, idonea ad incrementare genericamente le risorse finanziarie dell’ente previdenziale», attesa la differenza tra la stessa obbligazione contributiva e l’obbligazione tributaria.
La parte conclude sul punto che, «[p]erciò, l’addebito operato dall’INPS […], calcolato […] in base alle sole caratteristiche del fondo agricolo, ma senza preventivamente procedere all’individuazione dei soggetti ai quali la contribuzione pretesa deve essere imputata, è da ritenere radicalmente nullo in quanto privo dei caratteri propri dell’obbligazione contributiva, finendo così col rivestire il carattere di sanzione: carattere non previsto dalla legge, ovvero di imposta: carattere [che sarebbe stato] escluso esplicitamente dalla Corte costituzionale con la […] sentenza n. 65 del 1962».
2.2.– Né si potrebbe ritenere che il censurato art. 8, comma 3, abbia «conferito […] un potere di accertamento presuntivo di manodopera, per soggetti non nominativamente individuati».
Infatti, in base a una lettura «costituzionalizzante» di tale disposizione, dovrebbe ritenersi che il legislatore delegato abbia disposto che «l’ente previdenziale avrebbe il diritto a rideterminare la contribuzione dovuta per gli stessi lavoratori denunciati […], restando escluso che l’ente possa calcolare la contribuzione per lavoratori diversi da quelli denunciati o direttamente individuati dall’ente, prendendo a base il fabbisogno risultante dalla stima tecnica, in quanto una […] contribuzione avulsa dalla individuazione dei lavoratori alla quale essa andrebbe accreditata, risulterebbe priva di imputazione, in violazione dei criteri enunciati dalla norma delegante».
A quest’ultimo proposito, la parte asserisce che l’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge n. 421 del 1992 «ha voluto garantire la piena corrispondenza tra il sistema contributivo applicabile al settore agricolo a quello vigente nei restanti settori del regime generale per lavoratori dipendenti», il quale «esclude la possibilità di addebitare la contribuzione per lavoratori che non siano stati preventivamente nominativamente individuati».
La parte ribadisce che tale lettura della disposizione denunciata è «l’unica rispettosa degli artt. 3 e 38, nonché degli artt. 76 e 77 Cost.», questi ultimi in relazione all’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge n. 421 del 1992.
Da ciò l’illegittimità di una pretesa contributiva avanzata «in base a un calcolo astratto della manodopera che sarebbe stata impiegata in ambito aziendale, senza preventivamente procedere all’individuazione dei lavoratori beneficiari della maggiore contribuzione».
2.3.– La parte conclude affermando la fondatezza delle questioni sollevate in riferimento sia agli artt. 76 e 77 Cost., sia agli artt. 3, 38 «e 53» Cost., qualora il denunciato art. 8, comma 3, sia «interpretato nel senso che esso abbia conferito all’ente previdenziale (in contrasto con i principi enunciati da Corte Cost. 26 giugno 1962, n. 65 […]) il potere di esigere contribuzione a carico dell’imprenditore agricolo che abbia denunciato una manodopera inadeguata rispetto alle esigenze del Fondo, senza preventivamente procedere alla individua[zione] dei lavoratori ai quali la maggiore contribuzione pretesa andrebbe accreditata, con la conseguenza di convertire l’obbligazione contributiva in una ulteriore sanzione, rispetto a quella già prevista dall’ordinamento, e non autorizzata dal legislatore delegante, ovvero in una imposta a destinazione innominata».
3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate.
3.1.– Secondo l’interveniente, tali questioni sarebbero, anzitutto, inammissibili perché «l’ordinanza di rimessione è priva di una motivazione congrua e sufficiente […]; limitandosi, inoltre, il Giudice a quo a motivare per relationem con riferimento a precedenti giurisprudenziali [della] Corte, senza svolgere una motivazione specifica, in particolare richiamando le sentenze n. 65/1962 […] e n. 184/1999».
3.2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, le questioni sollevate sarebbero, comunque, infondate.
L’interveniente rappresenta che, nell’ordinanza di rimessione, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 sarebbe ipotizzata in virtù di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 65 del 1962.
Lo stesso interveniente osserva però che questa sentenza aveva a oggetto delle disposizioni per cui la contribuzione nel settore agricolo era determinata in base al criterio presuntivo cosiddetto dell’ettaro-coltura, che era «applicato in modo indiscriminato a tutte le aziende, […] senza tenere in nessun conto […] le oggettive differenze tra unità produttive», con la conseguente ravvisata violazione dell’art. 3 Cost.
Il sistema di determinazione dei contributi previdenziali agricoli previsto dal censurato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 si fonderebbe invece «su una stima tecnica del fabbisogno di manodopera della singola, precipua azienda agricola e su quanto riscontrato nel corso della visita ispettiva». Tale stima, in particolare, «consent[irebbe] la quantificazione puntuale del fabbisogno lavorativo della specifica azienda».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’imposizione contributiva ai sensi del denunciato art. 8, comma 3 avrebbe «la finalità di assicurare la contribuzione previdenziale a quei lavoratori, non identificati all’atto della verifica ispettiva per la mancata collaborazione del datore di lavoro, ma che potrebbero essere individuati in momenti e situazioni successivi all’accertamento. In assenza di tale disposizione la contribuzione sarebbe irreversibilmente perduta qualora l’accertamento dei lavoratori avvenga ad intervenuta prescrizione o cessazione dell’azienda».
Sarebbe, pertanto, del tutto improprio attribuire alla contribuzione ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 una natura sanzionatoria, mentre la stessa contribuzione «non può che essere destinata al finanziamento del sistema previdenziale».
4.– In prossimità dell’udienza pubblica, Giancarlo Trecapelli ha depositato una memoria.
Secondo la parte, il Presidente del Consiglio dei ministri pretenderebbe di «scindere il momento di insorgenza dell’obbligo contributivo ed il momento di individuazione del soggetto a favore del quale accreditare la contribuzione sulla singola posizione contributiva», laddove «la conoscenza di questi dati costituisce uno dei requisiti essenziali perché possa sorgere l’obbligazione».
Tale problematica sarebbe stata affrontata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 29 luglio 1999, n. 8253.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Roma, sezione lavoro e previdenza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38, 76 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi), come sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608.
Il giudice rimettente è investito dell’appello avverso la sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di accertamento negativo proposta dal titolare di un’impresa agricola, in seguito alla notificazione di un verbale di accertamento ispettivo con il quale l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), ai sensi del denunciato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993, aveva proceduto all’imposizione dei contributi per il maggior numero di giornate lavorative, rispetto a quelle risultanti dalle dichiarazioni trimestrali della manodopera occupata, corrispondenti al fabbisogno di occupazione dell’impresa determinato sulla base della stima tecnica di cui al comma 2 dello stesso art. 8.
2.– Per comprendere le censure del rimettente, è necessario ricostruire preliminarmente il quadro normativo in cui esse si inseriscono.
Nell’ambito della delega per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti privati e pubblici conferita al Governo dall’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), la lettera aa) del comma 1 di tale articolo, con riguardo alla previdenza nel settore agricolo, stabilì, tra l’altro, il principio e criterio direttivo della «razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e di accertamento e riscossione dei contributi, tenuto conto della disciplina vigente per la generalità dei lavoratori e dei principi contenuti nella legge 9 marzo 1989, n. 88, al fine di una migliore efficienza del servizio e del rafforzamento delle misure contro le evasioni e le elusioni».
In attuazione di tale delega fu adottato il d.lgs. n. 375 del 1993, concernente la «razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi».
Di tale decreto viene qui in rilievo l’art. 8 – che, sotto la rubrica «Controlli», contiene anche la disciplina dell’accertamento dei contributi dovuti per i lavoratori dell’agricoltura – di cui interessano, in particolare, oltre al denunciato comma 3, i commi 2 e 5.
Quanto al comma 2, esso stabilisce che, ai fini del raffronto tra i dati aziendali accertati e gli elementi relativi alla manodopera occupata acquisiti sulla base delle risultanze del collocamento, gli uffici procedono a una «stima tecnica a mezzo visita ispettiva», mediante la quale «determinano il numero delle giornate di lavoro occorrenti in relazione all’ordinamento colturale dei terreni, al bestiame allevato, ai sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, ai periodi di esecuzione dei lavori, nonché alle consuetudini locali» (previa decurtazione delle prestazioni di lavoro indicate nelle lettere da a a d dello stesso comma 2).
A norma del comma 5, il «provvedimento motivato conseguente all’accertamento di cui al comma 2 è notificato al datore di lavoro interessato».
Quanto al comma 3, esso prevede che gli esiti della stima tecnica disciplinata dal comma 2 possano essere utilizzati dall’INPS ai fini dell’accertamento dei contributi dovuti dal datore di lavoro agricolo.
Tale comma, nel suo testo originario, disponeva in particolare che «[i]l numero delle giornate di manodopera, accertato ai sensi del comma 2, rileva anche per l’imposizione induttiva dei contributi, da liquidare sulla base delle retribuzioni medie di cui all’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e successive modificazioni e integrazioni».
Lo stesso comma 3 è stato peraltro successivamente sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del d.l. n. 510 del 1996. In seguito a tale sostituzione, il vigente denunciato comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 375 del 1993 stabilisce che, «[q]ualora dal raffronto risulti che il fabbisogno di occupazione determinato sulla base della stima tecnica è significativamente superiore alle giornate risultanti dalle dichiarazioni trimestrali, l’INPS diffida il datore di lavoro a fornirne motivazione entro il termine di quaranta giorni. Nel caso in cui non venga fornita adeguata motivazione e non siano stati individuati i lavoratori utilizzati e le relative giornate di occupazione, l’INPS procede all’imposizione dei contributi da liquidare sulla base delle retribuzioni medie di cui all’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488, e successive modificazioni ed integrazioni».
Nel censurato testo vigente – chiaramente orientato nel senso di una maggiore garanzia del soggetto passivo dell’obbligo contributivo – l’utilizzazione degli esiti della stima tecnica disciplinata dal comma 2 ai fini dell’accertamento dei contributi dovuti richiede dunque che da tale stima emerga un fabbisogno di manodopera «significativamente superiore» rispetto alle giornate che risultano dalle dichiarazioni trimestrali della manodopera occupata previste dall’art. 6 del d.lgs. n. 375 del 1993.
Inoltre, l’imposizione dei contributi per il maggior numero di giornate di lavoro determinate mediante la stima tecnica è consentita solo in presenza di due (ulteriori) condizioni: che il datore di lavoro – che deve essere diffidato a farlo – non fornisca «adeguata motivazione» dello scostamento entro il termine di quaranta giorni; che «non siano stati individuati i lavoratori utilizzati e le relative giornate di occupazione».
Se sussistono tali condizioni, l’INPS procede all’imposizione dei contributi, liquidandoli sulla base delle retribuzioni medie di cui all’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria).
3.– Il rimettente afferma che il denunciato art. 8, comma 3 «prevede la possibilità di addebitare contribuzione per lavoratori che non siano stati preventivamente individuati nominativamente e personalmente».
Muovendo da tale presupposto, il giudice a quo ritiene che tale disposizione, «nella parte in cui impone all’INPS di richiedere alle imprese agricole contributi previdenziali non collegati a soggetti nominativamente individuati bensì sulla base di un fabbisogno presuntivo determinato in forza di una stima tecnica», violi anzitutto gli artt. 76 e 77 Cost., perché si pone in contrasto con il già citato principio e criterio direttivo di cui all’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge di delegazione n. 421 del 1992.
Lo stesso art. 8, comma 3, violerebbe, in secondo luogo, gli artt. 3 e 38 Cost., sotto due profili. Il primo riguarda il criterio «presuntivo» dettato da tale norma che finirebbe con «imporre pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in uguali condizioni». Il secondo fa riferimento alla conversione dell’obbligazione contributiva in una ulteriore sanzione rispetto a quelle già previste dall’ordinamento.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, poiché l’ordinanza di rimessione, priva di una motivazione congrua e sufficiente, si limita a motivare per relationem con riferimento a precedenti giurisprudenziali della Corte costituzionale.
L’eccezione non è fondata.
L’ordinanza di rimessione, pur se in modo conciso, indica le ragioni del denunciato contrasto tra la disposizione censurata e gli invocati parametri costituzionali. Essa pone in evidenza che il criterio accertativo di cui all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993, nel prevedere l’imposizione di contributi «non collegati a soggetti nominativamente individuati bensì sulla base di un fabbisogno presuntivo determinato in forza di una stima tecnica» sarebbe incompatibile con l’obbligo, imposto al Governo dall’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge di delegazione n. 421 del 1992, di tenere conto della disciplina vigente per la generalità dei lavoratori, escludendo perciò che l’obbligazione contributiva nasca quando manchi l’individuazione nominativa dei soggetti cui imputare i contributi (col conseguente contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost.). Inoltre, non considerando le caratteristiche peculiari di ciascuna azienda agricola, imporrebbe «pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in uguali condizioni» (col conseguente contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.). Vi sarebbe in tal modo una conversione dell’obbligazione contributiva in una ulteriore sanzione rispetto a quelle già previste dall’ordinamento (col conseguente contrasto, sotto un ulteriore profilo, con gli stessi artt. 3 e 38 Cost.).
5.– Sempre in via preliminare, va rilevato che il presupposto interpretativo del giudice rimettente, secondo cui la disposizione censurata «prevede la possibilità di addebitare contribuzione per lavoratori che non siano stati preventivamente individuati nominativamente e personalmente» non solo non è implausibile, ma è anche corretto.
L’accertamento disciplinato dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 presuppone infatti, come si è visto, che «non siano stati individuati i lavoratori utilizzati e le relative giornate di occupazione».
Tale previsione, nel suo tenore testuale, preclude anche la lettura «costituzionalizzante» dello stesso art. 8, comma 3, prospettata dalla parte costituita, secondo cui quest’ultima disposizione «pone a carico dell’ente previdenziale l’obbligo di individuare […] i soggetti nei cui confronti viene imputato il maggior numero di giornate».
6.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
7.– Per le questioni sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., si deve rilevare che il parametro dell’art. 77 Cost. è inconferente (con la conseguente non fondatezza della relativa questione; ex multis, sentenze n. 127 del 2017 e n. 250 del 2016).
Con riguardo al parametro dell’art. 76 Cost., si deve osservare che il comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 375 del 1993 è censurato dal rimettente non nel suo testo originario, adottato dal Governo nell’esercizio della delega a esso conferita dall’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge n. 421 del 1992, ma nel testo (interamente) sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del d.l. n. 510 del 1996.
Nell’adozione di tale disposizione, come è del tutto evidente, il Governo non ha esercitato la delega di cui alla legge n. 421 del 1992 e non era, perciò, tenuto a rispettarne i principi e criteri direttivi.
Tanto basta a escludere in radice la possibilità di un qualunque contrasto tra la disposizione denunciata e il principio e criterio direttivo dell’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge n. 421 del 1992.
8.– Quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 38 Cost., l’imposizione al datore di lavoro, prevista dal denunciato art. 8, comma 3, dei contributi per il maggior numero di giornate determinate mediante la stima tecnica di cui al comma 2 dello stesso articolo (e sulla base delle retribuzioni medie per l’anno) è pienamente compatibile con la garanzia della tutela previdenziale assicurata dal parametro costituzionale.
Tale imposizione, infatti, si traduce in un incremento dell’apporto finanziario al sistema previdenziale e dunque non pregiudica la tutela dei lavoratori, ma comporta un rafforzamento della copertura che gli enti previdenziali possono assicurare agli stessi.
9.– Quanto alle questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost., occorre esaminare separatamente i due profili di censura prospettati dal rimettente.
9.1.– Con riguardo al primo profilo, il giudice a quo, nel lamentare che il criterio accertativo di cui al denunciato art. 8, comma 3, «conduce al risultato di imporre pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in uguali condizioni», riprende letteralmente il passaggio della sentenza n. 65 del 1962. In tale inciso questa Corte sviluppò la motivazione circa il contrasto con l’art. 3 Cost. dell’accertamento dei contributi agricoli fondato sul criterio presuntivo cosiddetto dell’ettaro-coltura.
A proposito di tale pronuncia, va rilevato che la violazione, sia dell’art. 76 Cost. (per contrasto con il principio che i contributi dovevano essere stabiliti «sulla base dell’impiego di mano d’opera per ogni azienda agricola»), sia dell’art. 3 Cost. era stata affermata da questa Corte in ragione del fatto che il criterio dell’ettaro-coltura, applicandosi «rispetto alle zone», non era idoneo ad accertare l’impiego di manodopera «rispetto alle singole aziende, considerate nella loro peculiare struttura e organizzazione» (punto 8. del Considerato in diritto).
L’accertamento previdenziale disciplinato dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 si fonda invece, come si è visto, sull’utilizzazione degli esiti della stima tecnica prevista dal comma 2 dello stesso articolo. Con essa l’INPS, sulla base di quanto rilevato «a mezzo visita ispettiva» dell’azienda, ne determina il fabbisogno di manodopera in relazione a elementi distintivi, quali sono l’ordinamento colturale dei terreni, il bestiame allevato, i sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, anche sulla scorta di consuetudini locali.
Pertanto, diversamente dall’accertamento in base al criterio cosiddetto dell’ettaro-coltura oggetto della sentenza n. 65 del 1962, l’accertamento previdenziale di cui all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 ha riguardo al fabbisogno di giornate lavorative di ciascuna singola specifica azienda agricola, considerata nella sua peculiare struttura e nell’organizzazione che la caratterizza.
Ciò esclude, in tutta evidenza, che dall’applicazione di tale accertamento possa discendere la lamentata conseguenza di imporre una contribuzione diversa a datori di lavoro che si trovano nella stessa condizione o una contribuzione uguale a datori di lavoro che si trovano in condizioni diverse.
9.2.– Non è fondato, infine, il secondo profilo di violazione dell’art. 3 Cost. prospettato dal giudice a quo.
La giurisprudenza di legittimità si è di recente espressa nel senso che la questione dell’imputazione soggettiva dei contributi non rileva nel rapporto contributivo tra datore di lavoro agricolo e INPS (Corte di cassazione, sezione sesta-lavoro, ordinanza 7 novembre 2018, n. 28312). Questa affermazione trova ragionevole giustificazione nelle obiettive difficoltà di accertamento dei rapporti di lavoro in agricoltura e dei relativi contributi, poiché il settore agricolo è «caratterizzato dall’essere l’attività lavorativa spesso discontinua e prestata in favore di una pluralità di datori di lavoro nel corso dell’anno» (sentenza n. 192 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto). Da queste considerazioni emerge la ragionevolezza di una disposizione che appare chiaramente diretta a evitare l’evasione contributiva nel settore agricolo.
Inoltre, l’imposizione di contributi previdenziali in assenza della previa individuazione dei lavoratori utilizzati, secondo quanto previsto dal denunciato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 non converte di fatto l’obbligazione contributiva né in una sanzione, come asserito dal rimettente, né in un tributo, come sostenuto, in via alternativa, dalla parte costituita.
Sia la quantificazione delle somme imposte – che corrispondono alla contribuzione dovuta in relazione al maggior numero di giornate lavorative accertate e alla retribuzione media per esse determinata nell’anno – sia l’evidente destinazione delle stesse al finanziamento della tutela previdenziale del lavoro, confermano la natura sostanzialmente previdenziale dei contributi richiesti al datore di lavoro, ai sensi del denunciato art. 8, comma 3. Tali caratteristiche, nell’escluderne, sia il fondamento nella «capacità contributiva», sia la generica destinazione al concorso alle «spese pubbliche» (art. 53, primo comma, Cost.), escludono, al contempo, la natura tributaria degli stessi contributi.
Le evidenziate connotazioni dei contributi ex art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 inducono a negare che essi abbiano natura sanzionatoria e che si prefiggano finalità punitive.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi), come sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38, 76 e 77 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Roma, sezione lavoro e previdenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA