Consulta: esclusione dipendenti P.A. da detassazione premi di risultato

corte-costituzionale

Con sentenza n. 153 del 27 giugno 2017, la Corte Costituzionale, decidendo in ordine alla costituzionalità dell’art. 2 del D.L. n. 93/2008, dell’art. 53, comma 1, del D.L. n. 78/2010 e dell’art. 26, comma 1, del D.L. n. 98/2011, ha affermato che le disposizioni appena richiamate non sono incostituzionali in quanto le stesse sono espressione del potere discrezionale del Legislatore censurabile soltanto per la propria palese arbitrarietà o irrazionalità.

Nel caso di specie le norme richiamate prevedono agevolazioni di natura fiscale legate a premi di risultato nel settore privato stabilendo una connessione tra le somme agevolate e l’esercizio del datore che svolge una attività finalizzata alla produzione di utili.

La peculiarità concernente la produttività, la qualità, la redditività, l’innovazione e l’efficienza organizzativa non è riscontrabile, secondo la Consulta, in alcun comparto pubblico ove non possono essere fissati obiettivi finalizzati ad un incremento della competivita aziendale o all’incremento della produzione di utili.

 

 

Fonte: Corte Costituzionale

 

 


 

SENTENZA N. 153

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 26, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; e dell’art. 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, come richiamato dall’art. 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)», promossi con due ordinanze del 14 marzo 2016 della Commissione tributaria provinciale di Genova, iscritte ai nn. 128 e 129 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 14 marzo 2016, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2016, la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

La norma censurata prevede che «[n]el periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2011, le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali e correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale sono soggette a una imposta sostitutiva della imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali. Tale disposizione trova applicazione entro il limite complessivo di 6.000 euro lordi e per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 40.000 euro».

La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso da M. S. contro l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Genova.

Il giudice a quo illustra la materia del contendere nei seguenti termini.

M. S., dipendente dell’Agenzia delle entrate, ha percepito nell’anno 2011 la somma di 1.366,19 euro, derivante dall’utilizzo del «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività». All’importo è stata applicata la ritenuta fiscale ordinaria del 23,69 per cento, pari all’aliquota media ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Egli lamenta che non gli è stata applicata, invece, la più vantaggiosa imposta sostitutiva del 10 per cento, prevista originariamente dall’art. 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126. Secondo tale disposizione, le somme erogate a livello aziendale nel periodo dal 1° luglio 2008 al 31 dicembre 2008 in relazione, tra l’altro, «[…] a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa», sono soggette «a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi» (comma 1, lettera c). La misura, introdotta in via «sperimentale» e applicabile esclusivamente al «settore privato» (comma 5), è stata sostanzialmente prorogata negli anni successivi, fino al citato art. 53 del decreto-legge n. 78 del 2010, rilevante per le somme percepite nel 2011, che ne conferma l’applicabilità ai soli «lavoratori dipendenti del settore privato».

M. S. ha presentato all’Agenzia delle entrate istanza di rimborso dell’importo di 169,92 euro, quale differenza tra le due aliquote, sul presupposto che le somme erogate ai sensi dell’art. 53 del decreto-legge n. 78 del 2010 siano equiparabili a quelle derivanti dal «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», disciplinato dall’art. 85 del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie fiscali, e che l’omessa estensione del beneficio ai redditi da incremento della produttività corrisposti ai lavoratori dipendenti del settore pubblico sarebbe irragionevole e lesiva dell’art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento.

L’Agenzia delle entrate ha rifiutato il rimborso, osservando che dal beneficio fiscale sono esclusi i dipendenti del settore pubblico. Il provvedimento negativo è stato impugnato da M. S. davanti al giudice tributario per le stesse ragioni dedotte a sostegno dell’istanza amministrativa, che nel giudizio a quo sono poste a fondamento di un’eccezione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost.

1.1.– Il rimettente reputa che la questione non sia manifestamente infondata, in quanto le finalità del «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», istituito dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie fiscali, sarebbero le stesse che caratterizzano le somme erogate a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato ex art. 53 del decreto-legge n. 78 del 2010. Le prime, infatti, sono dirette a «promuovere reali e significativi miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, in sede di contrattazione integrativa, di piani e progetti strumentali e di risultato», mentre le seconde sono «correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale».

L’assoggettamento dei soli compensi percepiti dai dipendenti privati all’aliquota agevolata, con applicazione dell’aliquota ordinaria agli analoghi compensi dei dipendenti pubblici, costituirebbe pertanto una irrazionale e irragionevole disparità di trattamento, in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

La diversità normativa non troverebbe giustificazione nella natura «sperimentale» del beneficio, così qualificato dall’art. 2 del decreto-legge n. 93 del 2008, sia perché si tratterebbe di «una sperimentazione discriminatoria a favore di una categoria», sia perché tale natura dovrebbe essere venuta meno nel 2011 (anno di riferimento della ritenuta fiscale), visto il lasso temporale a disposizione del legislatore per valutare la buona riuscita dell’esperimento e considerata in ogni caso l’assenza, nella norma censurata, di richiami alla natura sperimentale della misura.

Neppure rileverebbe, «quale contrappeso alla discriminazione», il principio dell’equilibrio di bilancio introdotto dal novellato art. 81 Cost., in quanto la fattispecie dedotta nel giudizio a quo sarebbe sorta prima dell’entrata in vigore della riforma costituzionale e comunque perché i nuovi debiti per il rimborso delle imposte indebitamente versate graverebbero su bilanci futuri, di incerta individuazione nel tempo, in relazione ai quali si dovrebbe verificare il rispetto dell’equilibrio finanziario a prescindere dalle passività conseguenti all’eventuale pronuncia di incostituzionalità.

Infine, la questione sarebbe rilevante, perché solo la norma censurata, che esclude dal beneficio i dipendenti pubblici, impedirebbe l’accoglimento della domanda di rimborso.

2.– Con altra ordinanza del 14 marzo 2016, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2016, la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del tutto analoga a quella appena descritta, sorta nel corso di un giudizio promosso dallo stesso M. S. contro l’Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Genova per ottenere il rimborso della maggiore imposta, pari a 514,30 euro, applicata nel 2012 sulle somme derivanti dal medesimo «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», in base all’aliquota media del 24,72 per cento anziché all’imposta sostitutiva del 10 per cento.

Il rimettente censura le norme che, a suo avviso, disciplinano il beneficio fiscale per l’anno 2012, vale a dire:

– l’art. 26 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede, al comma 1, primo periodo, che «[p]er l’anno 2012 le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi aziendali o territoriali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale, sono assoggettate ad una tassazione agevolata del reddito dei lavoratori e beneficiano di uno sgravio dei contributi dovuti dal lavoratore e dal datore di lavoro»;

– l’art. 2 del decreto-legge n. 93 del 2008, in quanto richiamato dall’art. 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)», il quale prevede, al primo periodo, che «[i]n attuazione dell’articolo 26 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, per il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2012 sono prorogate le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, previste dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126».

Anche tali norme violerebbero gli artt. 3 e 53 Cost., per ingiustificata disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori dipendenti del settore pubblico, in quanto esse confermano che la tassazione agevolata della retribuzione di produttività si applica solo ai dipendenti del settore privato.

Le ragioni di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione riproducono quelle esposte nella prima ordinanza.

3.– Con atti di analogo contenuto, depositati il 26 luglio 2016, è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili o comunque manifestamente infondate le questioni sollevate dal giudice a quo.

In via preliminare, l’interveniente eccepisce l’inammissibilità delle questioni riferite all’art. 53 Cost., per mancanza di motivazione delle relative censure.

Nel merito, sarebbe erroneo il presupposto dal quale muove il rimettente, dell’identità dei fini perseguiti mediante l’erogazione delle somme previste dalle norme censurate con quelli ai quali è diretta l’erogazione delle somme derivanti dal «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», disciplinato dall’art. 85 del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie fiscali.

Quest’ultimo intenderebbe promuovere generici «miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi istituzionali», mentre le norme censurate porrebbero uno stretto collegamento tra le somme corrisposte e «i risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa», nonché «ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale».

In questo secondo caso, le finalità perseguite dal legislatore sarebbero orientate alle relazioni industriali, nel dichiarato intento di consentire alle imprese di riconquistare competitività sui mercati. La destinazione di risorse a tali risultati troverebbe giustificazione negli effetti positivi per l’economia generale del Paese, derivanti dall’incremento di produttività, dagli utili d’impresa e da una maggiore competitività dell’intero sistema economico. In questa prospettiva, le norme censurate utilizzerebbero concetti, quali quello di «competitività aziendale», tipici del settore economico privato esposto alla concorrenza e tendente alla produzione di utili d’impresa, che non possono essere estesi al settore pubblico, per lo svolgimento di attività istituzionali come quelle proprie delle Agenzie fiscali.

La ratio dei benefici non esigerebbe dunque la loro estensione ai dipendenti del settore pubblico, sicché si dovrebbe seguire l’orientamento della Corte per cui la concessione di agevolazioni relative a tributi erariali attraverso norme di carattere eccezionale e derogatorio rientra nella discrezionalità del legislatore, censurabile solo per l’eventuale palese arbitrarietà e irrazionalità, con la conseguenza che la Corte stessa non potrebbe estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici stessi. In conclusione, le norme censurate non sarebbero né irragionevoli, né discriminatorie, avendo il giudice a quo posto a raffronto situazioni non omogenee.

In ogni caso, un’eventuale pronuncia che estendesse l’agevolazione al settore pubblico necessiterebbe di un intervento legislativo di adeguamento, con la conseguenza che la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria provinciale di Genova dubita della legittimità costituzionale della disciplina che regola il trattamento fiscale agevolato delle somme erogate ai lavoratori dipendenti a titolo di retribuzione di produttività per gli anni 2011 e 2012.

Le questioni sono state sollevate con due ordinanze coeve, pronunciate in distinti giudizi pendenti tra le stesse parti e, pur avendo a oggetto disposizioni diverse, possono essere trattate congiuntamente per l’identità delle censure mosse e dei parametri invocati dal rimettente (artt. 3 e 53 della Costituzione).

Il thema decidendum concerne la asserita violazione del principio di eguaglianza per l’ingiustificata disparità del regime fiscale al quale sarebbero soggetti i dipendenti del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato con riguardo alla retribuzione legata a incrementi di produttività. La diversità delle norme censurate nei giudizi a quibus deriva dal fatto che essi attengono a distinti periodi d’imposta (2011 e 2012), nei quali il trattamento fiscale in esame è regolato da fonti diverse.

1.1.– Con l’ordinanza r.o. n. 128 del 2016, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

La norma censurata prevede che «[n]el periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2011, le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali e correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale sono soggette a una imposta sostitutiva della imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali. Tale disposizione trova applicazione entro il limite complessivo di 6.000 euro lordi e per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 40.000 euro».

La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso da un dipendente dell’Agenzia delle entrate, il quale ha percepito nell’anno 2011 una somma derivante dall’utilizzo del «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», istituito dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie fiscali stipulato il 28 maggio 2004. All’importo è stata applicata la ritenuta fiscale ordinaria ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Egli lamenta che non gli è stata applicata, invece, la più vantaggiosa imposta sostitutiva del 10 per cento, prevista originariamente dall’art. 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 126, secondo il quale le somme erogate a livello aziendale nel periodo dal 1° luglio 2008 al 31 dicembre 2008 in relazione, tra l’altro, «[…] a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa», sono soggette «a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento […]» (comma 1, lettera c). La misura, introdotta in via «sperimentale» e applicabile esclusivamente al «settore privato» (comma 5), è stata sostanzialmente prorogata negli anni successivi, fino al citato art. 53 del d.l. n. 78 del 2010, rilevante per le somme percepite nel 2011, che ne conferma l’applicabilità ai soli «lavoratori dipendenti del settore privato».

Il giudice a quo è investito dell’impugnazione avverso il provvedimento con il quale l’Agenzia delle entrate ha negato il rimborso dell’imposta pagata in eccesso sul presupposto che dal beneficio fiscale sono esclusi i dipendenti del settore pubblico. A suo avviso, l’assoggettamento dei soli compensi percepiti dai dipendenti privati all’aliquota agevolata e l’applicazione invece dell’aliquota ordinaria agli analoghi compensi dei dipendenti pubblici costituirebbe un’irragionevole disparità di trattamento, in violazione degli artt. 3 e 53 Cost., in quanto le finalità del menzionato «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», dirette a «promuovere reali e significativi miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, in sede di contrattazione integrativa, di piani e progetti strumentali e di risultato», sarebbero le stesse che caratterizzano le somme erogate a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato ex art. 53 del d.l. n. 78 del 2010, «correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale».

La questione sarebbe rilevante, perché solo la norma censurata, che esclude dal beneficio i dipendenti pubblici, impedirebbe l’accoglimento della domanda di rimborso.

1.2.– Con l’ordinanza r.o. n. 129 del 2016, il giudice a quo ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del tutto analoga a quella descritta in precedenza, sorta nel corso di un giudizio promosso dallo stesso dipendente pubblico per ottenere il rimborso della maggiore imposta applicata nel 2012 sulle somme derivanti dal medesimo «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività».

Il rimettente censura qui le norme che, a suo avviso, disciplinano il beneficio fiscale per l’anno 2012, vale a dire:

– l’art. 26 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede, al comma 1, primo periodo, che «[p]er l’anno 2012 le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi aziendali o territoriali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale, sono assoggettate ad una tassazione agevolata del reddito dei lavoratori e beneficiano di uno sgravio dei contributi dovuti dal lavoratore e dal datore di lavoro»;

– l’art. 2 del d.l. n. 93 del 2008, in quanto richiamato dall’art. 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)», il quale prevede, al primo periodo, che «[i]n attuazione dell’articolo 26 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, per il periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 2012 sono prorogate le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, previste dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126».

Anche tali disposizioni violerebbero gli artt. 3 e 53 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori dipendenti del settore pubblico, in quanto confermano che la tassazione agevolata della retribuzione di produttività si applica solo ai dipendenti del settore privato.

Le ragioni di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione riproducono quelle esposte nella prima ordinanza.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni riferite all’art. 53 Cost. per mancanza di motivazione delle censure proposte.

L’eccezione non è fondata, potendo il principio di capacità contributiva contenuto nell’art. 53 Cost. essere considerato in questo contesto come specificazione settoriale del generale principio di eguaglianza (sentenza n. 223 del 2012), sicché valgono a sostegno di tale censura le stesse ragioni riconducibili alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost.

3.– Passando all’esame nel merito delle questioni sollevate, si deve innanzitutto delimitare l’oggetto del giudizio costituzionale con particolare riferimento all’ordinanza r.o. n. 129 del 2016.

In essa il dubbio di legittimità costituzionale investe sia l’art. 26 del d.l. n. 98 del 2011, sia l’art. 2 del d.l. n. 93 del 2008 in quanto richiamato dall’art. 33, comma 12, della legge n. 183 del 2011. Sebbene la questione abbracci dunque tutte queste disposizioni, l’effetto lesivo lamentato dal giudice a quo deve essere attribuito esclusivamente alla prima di esse.

Il thema decidendum concerne infatti, come visto, la asserita violazione del principio di eguaglianza per l’ingiustificata disparità del regime fiscale al quale sarebbero soggetti i dipendenti del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato con riguardo alla retribuzione legata a incrementi di produttività.

Il citato art. 26 del d.l. n. 98 del 2011 stabilisce che «[p]er l’anno 2012 le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato […] sono assoggettate ad una tassazione agevolata del reddito dei lavoratori», della quale non specifica natura e entità. L’art. 33, comma 12, della legge n. 183 del 2011 si limita a dare attuazione alla precedente norma, disponendo la proroga per l’anno 2012 dell’imposta sostitutiva del 10 per cento, prevista dall’art. 2, comma 1, lettera c), del d.l. n. 93 del 2008.

La lamentata lesione dell’art. 3 Cost. deriva dunque dal precetto contenuto nell’art. 26 del d.l. n. 98 del 2011, che, per l’anno 2012, restringe ai lavoratori dipendenti del settore privato il beneficio della tassazione agevolata, e non dalle norme che definiscono in concreto le caratteristiche del beneficio.

La mancanza di efficacia lesiva dell’art. 33, comma 12, della legge n. 183 del 2011, e dell’art. 2 del d.l. n. 93 del 2008 rende in radice non fondata la questione sollevata rispetto ad essi.

Così circoscritta al solo art. 26 del d.l. n. 98 del 2011, la questione sollevata con l’ordinanza r.o. n. 129 del 2016 risulta perfettamente simmetrica a quella sollevata con l’ordinanza r.o. n. 128 del 2016, che investe solo l’art. 53 del d.l. n. 78 del 2010, vale a dire la norma che, per il 2011, produrrebbe un analogo effetto discriminatorio senza specificare la misura del beneficio fiscale, poi determinata dall’art. 1, comma 47, della legge n. 220 del 2010.

3.1.– Le questioni aventi ad oggetto l’art. 53 del d.l. n. 78 del 2010 e l’art. 26 del d.l. n. 98 del 2011 non sono fondate.

Questa Corte si è trovata più volte a vagliare la legittimità costituzionale di disposizioni che prevedono agevolazioni fiscali e, in questo contesto, ha affermato che «norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (sentenza n. 292 del 1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la conseguenza che la Corte stessa non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi (sentenze n. 6 del 2014, n. 275 del 2005, n. 27 del 2001, n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze n. 103 del 2012, n. 203 del 2011, n. 144 del 2009 e n. 10 del 1999)» (da ultimo, sentenza n. 111 del 2016).

È dunque necessario identificare il fondamento del beneficio previsto dalle norme qui in esame, per poi verificare se la ratio così individuata si possa considerare comune anche alla categoria dei dipendenti del settore pubblico, per i quali l’agevolazione non è prevista.

La detassazione in esame ha lo scopo, evidente, di incentivare la produttività del lavoro, ma il suo oggetto è ben delimitato dal legislatore, che non lo collega a un generico miglioramento delle prestazioni dei lavoratori dipendenti, bensì all’erogazione di somme «correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale». Questo preciso collegamento, richiesto dalle norme censurate, evoca la necessità di una stretta connessione tra l’agevolazione fiscale delle somme erogate ai lavoratori e l’esercizio da parte del datore di lavoro erogante di un’attività economica rivolta al mercato e diretta alla produzione di utili. Tramite l’agevolazione fiscale il legislatore intende quindi promuovere la competitività delle imprese nell’interesse generale.

Il rimettente muove dal presupposto che a queste stesse finalità sia preordinato anche il «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», istituito dal contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie fiscali, stipulato il 28 maggio 2004, con lo scopo di «promuovere reali e significativi miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, in sede di contrattazione integrativa, di piani e progetti strumentali e di risultato» (art. 85, comma 1, del contratto collettivo citato).

Questa stretta funzionalizzazione al miglioramento dei servizi istituzionali affidati alle Agenzie fiscali, nei cui riguardi non possono essere fissati obiettivi di miglioramento della competitività aziendale o di incremento della produzione di utili, esclude la connotazione finalistica del regime di detassazione prospettata dal giudice a quo e, con essa, la paventata discriminazione.

Non conduce a diverse conclusioni la considerazione che la disciplina della materia non escludeva ab origine la possibilità di estendere il beneficio ai dipendenti pubblici. L’art. 2, comma 5, del d.l. n. 93 del 2008, nel prevedere una verifica degli effetti del nuovo regime, stabiliva invero che «[a]lla verifica partecipa anche il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, al fine di valutare l’eventuale estensione del provvedimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni». Da tale disposizione, non riprodotta per gli anni successivi al 2008, non è corretto inferire né un obbligo per il legislatore di estendere la misura ai dipendenti del settore pubblico, né la palese arbitrarietà o irrazionalità della scelta discrezionale del legislatore di non estendere il beneficio, scelta che avrebbe comportato, non solo un aumento delle risorse necessarie per attuare la misura, ma anche un allargamento degli obiettivi generali perseguiti.

4.– In conclusione, le questioni devono essere dichiarate non fondate in riferimento sia all’art. 3 che all’art. 53 Cost., per il quale, come visto, non sono esposte censure diverse da quelle riconducibili alla denunciata violazione del principio di eguaglianza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; dell’art. 26, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; e dell’art. 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, come richiamato dall’art. 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)», promosse dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2017.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

La Redazione

Autore: La Redazione

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