Articolo: Offerta di conciliazione: aspetti pratici e prospettive future
approfondimento di Jacopo Ierussi – Avvocato
Estratto dal n. 2/2018 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)
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“Il D.Lgs. n. 23/2015 ha introdotto un nuovo istituto denominato “offerta di conciliazione”, la cui precipua finalità è quella di incentivare la risoluzione stragiudiziale delle controversie giuslavoristiche in materia di licenziamenti, e ciò a fronte di un’offerta – avanzata dal datore di lavoro entro i termini per l’impugnazione stragiudiziale del recesso – di un indennizzo predeterminato ex lege nell’ammontare, che non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L’indennizzo deve essere liquidato tramite un assegno circolare d’importo pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio (tra un minimo di 2 ed un massimo di 18 mensilità) in una delle sedi conciliative indicate dall’art. 2113, comma 4, c.c., oppure dall’art. 76, D.Lgs. n. 276/2003, e l’eventuale accettazione del lavoratore “comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta”.
Prima di calarci nel vivo della questione in esame, è bene osservare come il Jobs Act abbia profondamente innovato il sistema di tutele previsto in materia di licenziamenti, e, di conseguenza, alterato ulteriormente quegli equilibri cristallizzatisi da decenni e poi stravolti in poco meno di un quinquennio da un susseguirsi di riforme inaugurato dal cd. Collegato lavoro (legge n. 183/2010). Ciò ha inevitabilmente impattato in negativo sulla forza contrattuale posseduta dai lavoratori subordinati in Italia, considerato che la stessa è determinata da diversi fattori quali: 1) il costo sostenuto da un’azienda per sostituire un dipendente in caso di dimissioni volontarie o di recesso datoriale (in quest’ultima ipotesi, ad esempio, si pensi al cd. “ticket di licenziamento”, cui deve affiancarsi il rischio potenziale riconducibile ad una sua eventuale statuizione giudiziale di illegittimità); 2) il tasso di disoccupazione e le concrete possibilità di reimpiego, oggi certamente assottigliate dallo stato generale di crisi economica; 3) la presenza di ammortizzatori sociali (ad oggi, Fondo d’integrazione salariale e NASpI) in grado di garantire al lavoratore un valido sostegno reddituale per un tempo sufficiente a trovare una nuova occupazione, o, diversamente, a far valere le proprie ragioni nelle opportune sedi di giustizia..”….continua la lettura