Articolo: Le prestazioni part-time dopo l’abrogazione del job sharing
approfondimento di Stefano Malandrini – Confindustria Bergamo
Estratto dal n. 3/2016 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)
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“L’art. 55 del D.Lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 ha abrogato, con effetto dal 25 giugno 2015, gli articoli da 41 a 45 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, concernenti il “lavoro ripartito”, c.d. “job sharing”. È stata pertanto eliminata dall’ordinamento giuslavoristico la formula di inserimento al lavoro, introdotta dalla c.d. “riforma Biagi”, ai sensi della quale «due lavoratori assumono in solido l’adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa», atteso che «ogni lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione». L’abrogazione ha determinato la caducazione anche delle poche discipline di Ccnl che avevano integrato la regolamentazione legale, disciplinando nel dettaglio le modalità con le quali doveva realizzarsi la copertura complessiva delle ore di prestazione che i dipendenti, coobbligati in regime di job sharing, erano tenuti a rendere al datore di lavoro. È il caso, per i comparti industriali, dell’art. 41 del Ccnl Tessile SMI ATI del 4 febbraio 2014, intervenuto sul regime delle maggiorazioni, delle assenze dal lavoro, della maturazione degli istituti indiretti. Anche il Ccnl 29 novembre 2013 per il settore calzaturiero ha contemplato una regolamentazione integrativa della normativa legale, di particolare dettaglio, che ad esempio ha specificato come «in caso di oggettivo impedimento connesso a malattia o infortunio non sul lavoro per i quali uno dei lavoratori coobbligati non sia in grado di avvisare tempestivamente l’altro lavoratore coobbligato, la sostituzione è consentita entro il giorno successivo a quello in cui si è manifestata l’assenza». Era tuttavia rimasta sostanzialmente priva di disciplina contrattuale categoriale la generalità dei più diffusi Ccnl applicati nei comparti industriali, tra i quali in particolare il Ccnl Metalmeccanico.
Nel settore Terziario, il Ccnl Confcommercio del 20 marzo 2015, poco prima dell’intervento abrogativo, aveva invece confermato l’art. 93 del Capo V, contenente una disciplina succinta ma integrata da alcune previsioni significative quali, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro di un coobbligato, l’alternativa tra «la conversione del rapporto lavorativo in un contratto di lavoro a tempo pieno avente le medesime caratteristiche complessive della prestazione lavorativa inizialmente concordata o il proseguimento del rapporto di lavoro ripartito con altro lavoratore/lavoratrice », oltreché il monitoraggio obbligatorio da parte dell’Ente bilaterale territoriale. Peraltro la contrattazione collettiva nazionale era richiamata dall’art. 43, comma 1 del Capo V del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, ai sensi del quale «la regolamentazione del lavoro ripartito è demandata alla contrattazione collettiva rispetto alle previsioni contenute nel presente capo», ma il comma 2 specificava che «in assenza di contratti collettivi (…) trova applicazione, nel caso di prestazioni rese a favore di un datore di lavoro, la normativa generale del lavoro subordinato in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito». Conseguentemente la disponibilità dell’istituto in esame risultava estesa a tutto il sistema delle imprese, in quanto l’art. 1 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, individuando quale elemento di integrazione genericamente la «contrattazione collettiva», includeva il livello di confronto aziendale, legittimato quindi a supplire all’eventuale mancato intervento del Ccnl di categoria….continua la lettura“