Articolo: Contratti a termine dopo il riordino della disciplina (2^ parte)
approfondimento di Eufranio Massi – Esperto di Diritto del Lavoro
Estratto dal n. 41/2015 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)
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“Art. 25: il principio di non discriminazione
Dalla lettura dell’art. 25 emerge chiaramente che al lavoratore a termine spetta il trattamento economico e normativo in essere nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato comparabili: con tale aggettivo il legislatore delegato non fa altro che riprodurre un principio già enunciato nell’art. 5 della legge n. 230/1962, in base al quale i prestatori da prendere quale riferimento sono coloro che sono inquadrati nello stesso livello sulla base dei criteri di classificazione dettati dalla contrattazione collettiva.
La disposizione è importante, in quanto è strettamente correlata ad alcune sanzioni amministrative esplicitamente
previste dal comma 2 e, soprattutto, è la concreta applicazione di una delle finalità individuate dalla direttiva 1999/70/Ce. Per completezza di informazione è opportuno ricordare come la violazione (identica a quella già prevista dall’art. 6 del D.Lgs. n. 368/2001) sia punita con un importo compreso tra 25,82 e 154,94 euro: se si riferisce a più di cinque lavoratori la somma sale ed è compresa tra 154,94 e 1.032,91 euro.
Il principio di non discriminazione non si ferma soltanto ai richiami dell’art. 25 ma riguarda anche altre disposizioni non richiamate che “toccano” la sfera individuale dei lavoratori.
Ci si riferisce, ad esempio, a tutte quelle previste dalla legge n. 265/1999 che disciplinano lo “status” degli amministratori locali. Vi sono una serie di garanzie (artt. 19 e 24) in favore degli amministratori, siano essi dipendenti pubblici o privati, senza alcuna specificazione connessa alla durata del rapporto.
Uguali considerazioni possono farsi per eventuali permessi sindacali, atteso che la legge n. 300/1970 non prevede alcuna esclusione per i lavoratori a termine, oltre che, ovviamente, per i quindici giorni di congedo matrimoniale retribuito.
La non discriminazione passa anche attraverso l’applicazione di particolari istituti previsti da leggi sulle quali, al momento, non ci si sofferma: ci si riferisce, ad esempio, alla tutela ed al trattamento economico in caso di assenze dovute a malattie, per le quali trova piena applicazione l’art. 5 della legge n. 638/1983 o alle tutele disposte in favore delle lavoratrici madri per effetto delle norme compendiate nel D.Lgs. n. 151/2001 che trovano applicazione anche nei confronti dei lavoratori pubblici con contratto a tempo determinato: ci si riferisce, ad esempio, alle novità introdotte in materia di congedo parentale ad ore dal D.Lgs. n. 80/2015, “spiegato” da un punto di vista amministrativo dalla circolare Inps n. 149/2015.
Sotto l’aspetto del divieto di discriminazione è interessante sottolineare la sentenza della Corte di Cassazione n. 9864 del 6 luglio 2002 riferito allo “status” di maternità in correlazione alla stipula di un contratto a tempo determinato: non c’è alcuna disposizione che imponga alla lavoratrice gestante di far conoscere, al momento della stipula al datore di lavoro la natura del proprio stato, neppure quando venga assunta a tempo determinato. Tale obbligo non può, infatti, ricavarsi dai canoni generali di correttezza e buona fede previsti dagli articoli 1175 e 1375 c.c. o da altro generale previsto dal nostro ordinamento, considerato che una diversa opinione condurrebbe a ravvisare nello stato di gravidanza e puerperio un ostacolo all’assunzione al lavoro della donna e finirebbe, così, per legittimare operazioni interpretative destinate a minare in maniera rilevante la tutela apprestata a favore delle lavoratrici madri….continua la lettura“