Articolo: Contratti a tempo determinato e coronavirus: la tutela attraverso l’integrazione salariale
approfondimento di Eufranio Massi per The world of il Consulente (n. 109 – anno X – maggio 2020)
CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO E CORONAVIRUS: LA TUTELA ATTRAVERSO L’INTEGRAZIONE SALARIALE
Da tanto tempo, molti di coloro che operano nel mondo del lavoro (mi riferisco, principalmente, ai datori di lavoro ed ai professionisti) sono in attesa, da provvedimento a provvedimento, che qualcosa cambi in materia di contratti a tempo determinato, anche perché, pur scontando l’attuale fase di recessione che sta attraversando il nostro Paese, con l’introduzione di causali legali di difficile gestibilità, è sempre più difficile assumere a termine, essendo il percorso delineato dal “Decreto Dignità” irto di ostacoli e pieno di insidie.
Anche questa volta la speranza è stata disattesa in quanto il D.L. n. 18/2020, convertito, con modificazioni nella legge n. 27, si è occupato, come vedremo, della questione soltanto in senso “protettivo” nei confronti dei dipendenti che, per effetto della scadenza del termine, perdono il posto di lavoro e non hanno, quindi, accesso agli ammortizzatori sociali come tutti gli altri dipendenti in forza alla data del 17 marzo 2020, come chiarito dall’art. 41 del D.L. n. 23/2020 che ha corretto la data iniziale del 23 febbraio.
Mentre scrivo questa breve riflessione (è il pomeriggio del 10 maggio) non è stato ancora approvato dal Consiglio dei Ministri il c.d. “Decreto Legge Rilancio” (era stato battezzato Decreto Aprile ma, ora, siamo nel mese successivo) il quale, stando alla bozza di ben 258 articoli che sta girando nelle ultime ore, prevederà,tra le altre cose, l’eliminazione delle causali per le proroghe ed i rinnovi dei contratti a termine o in somministrazione fino al 31 agosto p.v. . Se così sarà, saremo di fronte ad una prima apertura che, però, è bene sottolinearlo, pare unicamente finalizzata a favorire il rinnovo o la proroga dei dipendenti o dei somministrati a tempo determinato in questo momento critico per l’Italia.
A questo punto ritengo sia necessario entrare nel merito dell’art. 19-bis introdotto, in sede di conversione dalla legge n. 27.
Con una norma di interpretazione autentica il Legislatore ha inteso salvare dal rischio della disoccupazione quei lavoratori a termine o in somministrazione che, messi in integrazione salariale dal proprio datore di lavoro a seguito della crisi epidemiologica, al termine del contratto sono stati licenziati in quanto lo stesso non è stato prorogato o rinnovato.
Si tratta di una situazione eccezionale ed è per questo che l’interpretazione autentica, che risulta come frase inserita nel titolo della rubrica dell’art. 19-bis, è stata utilizzata in modo inusuale (normalmente non si cambia il testo ma se ne chiarisce il significato) con una riscrittura della disposizione che, però, essendo da “interpretazione autentica” vale anche per il passato: in tal modo, viene sanato, il “modus operandi” di chi aveva proceduto a rinnovi o proroghe anche in precedenza.
Non sono, assolutamente, d’accordo con chi, traendo spunto dalla inusualità della procedura di “interpretazione autentica”, dà già per scontata la incostituzionalità della disposizione con la conseguenza che chi ha rinnovato o prorogato i contratti prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 27, ha compiuto una operazione illegittima che potrebbe comportare la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.
A mio avviso, la situazione eccezionale nella quale si è venuta a trovare l’Italia per effetto della pandemia, giustifica tale modalità che il Legislatore (e non altri) definisce come “interpretazione autentica”: essa mi sembra, peraltro, in linea con l’art. 38 della Costituzione laddove si afferma, tra l’altro, che i lavoratori hanno diritto a mezzi adeguati in caso di “disoccupazione involontaria” e, in questo momento in cui si è voluto assicurare una tutela minima a tutti i lavoratori in forza ad una certa data, non credo che tale scelta possa incorrere negli strali della Consulta.
La disposizione che di per se stessa ha un significato “difensivo”, intende fornire un trattamento di sostegno al reddito anche a chi, alla data del 23 febbraio 2020 (poi, esteso fino al 17 marzo), in forza presso un datore di lavoro, era titolare di un contratto in scadenza: essa si inquadra in un disegno complessivo ove, in tempi di pandemia, si è voluta assicurare una tutela generale che si evidenzia anche nella sospensione, per sessanta giorni (ma il D.L. “Rilancio” lo prorogherà per altri tre mesi fino al 16 di agosto), di ogni licenziamento per giustificato motivo oggettivo e nello “stop” temporaneo alle procedure collettive di riduzione di personale.
Passo, ora, ad esaminare i contenuti della novità introdotta.
Essa è agganciata, unicamente, all’emergenza COVID-19: quindi, al termine della stessa tutto tornerà come prima. Di conseguenza, essa trova applicazione, unicamente, in caso di utilizzo degli ammortizzatori sociali per tale specifica causale dei quali parlano, diffusamente, sia il D.L. n. 18/2020 che la circolare INPS n. 47, che la circolare n. 8 del Ministero del Lavoro (CIGO; FIS, Fondi bilaterali alternativi, CISOA, Cassa in deroga), la cui durata è limitata al periodo 23 febbraio – 31 agosto per un massimo di nove settimane, calcolate per unità produttiva secondo le modalità indicate dall’Istituto nella circolare n. 58/2009. Il prossimo D.L. che deve essere ancora esaminato in Consiglio dei Ministri dovrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) prorogare la cassa per altri dodici mesi inserendo tra le causali anche quella correlata alla sanificazione ed alla preparazione dei locali.
Ma, cosa dice l’art. 19-bis?
“Considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-.19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del D.L.vo n. 81/2015, di procedere nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”.
Per poter consentire l’erogazione del trattamento integrativo in favore dei lavoratori con contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, prorogato o rinnovato, il Legislatore ha derogato agli articoli:
- 20, comma 1, lettera c) che non consente l’assunzione di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove sono in corso sospensioni a zero ore o riduzioni di orario in regime di integrazione salariale, che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine;
- 21, comma 2, secondo il quale se un lavoratore viene riassunto a tempo determinato entro dieci giorni (di calendario) dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di venti giorni (anche questi di calendario) dalla data di scadenza di un contratto superiore a tale limite, il secondo contratto si trasforma a tempo indeterminato;
- 32, comma 1, lettera c) che vieta, in perfetto “pendant” con l’art. 20, comma 1, lettera c), l’utilizzazione di lavoratori in somministrazione presso datori di lavoro che hanno messo in integrazione salariale a zero ore o ad orario ridotto propri dipendenti che sono adibiti alle stesse mansioni ai quali si riferiscono i contratti di somministrazione.
Tutto questo, a mio avviso, fa scattare alcune considerazioni, non dimenticando la necessità che le Regioni superino quanto stabilito in alcuni accordi-quadro nei quali si dispone la tutela dei lavoratori a tempo determinato fino alla scadenza del contratto: ovviamente, la norma legale supera quella contrattuale.
Passo, ora, ad effettuare alcune riflessioni.
La prima si ricava dalla relazione tecnica: la tutela occupazionale, attraverso l’integrazione salariale, dei lavoratori a termine che, in caso di risoluzione del rapporto sarebbero rimasti disoccupati, costa meno del trattamento di NASPI. Essa, in questo caso, sembra svolgere anche una funzione di supporto sostitutivo dell’indennità di disoccupazione e, in questo senso, riallacciandomi alla costituzionalità o meno della norma di interpretazione autentica, ritengo che la stessa si ponga nel solco tracciato da una lettura espansiva di “disoccupazione involontaria” di cui parla l’art. 38 Cost. .
La seconda si riferisce a quelle imprese che, sia per valutazioni strettamente aziendali (paura di perdere un lavoratore sul quale si è investito in formazione o si pensa di investire proficuamente), sia per pressioni di natura sindacale, hanno proceduto a proroghe o rinnovi di contratti a termine o in somministrazione, pur in presenza di vincoli normativi contrari e pur sapendo che il trattamento integrativo non sarebbe stato corrisposto oltre la scadenza del termine: ora, quella operazione, avvenuta sotto la vigenza del testo originario contenuto del D.L. n. 18/2020, trova la copertura normativa e, quindi, non sussiste violazione in quanto la norma, essendo di interpretazione autentica, ha un effetto retroattivo.
La terza riguarda l’istituto della proroga ove il Legislatore non ha minimamente toccato l’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015, come “ritoccato” dal “Decreto Dignità”: ciò significa che il primo contratto può essere liberamente prorogato se si resta all’interno della soglia dei dodici mesi ma, superato tale limite, occorre inserire una delle condizioni individuate dall’art. 19, comma 1, che sono di difficile gestione, con la sola eccezione della causale per motivi sostitutivi. Parlando di proroga del contratto a termine nei primi dodici mesi, resta pienamente in vigore la circolare n. 17/2018 del Ministero del Lavoro, secondo la quale se muta la motivazione iniziale, pur continuando il lavoratore, con il proprio consenso, a svolgere le medesime mansioni, occorre procedere ad un rinnovo del contratto, senza soluzione di continuità: circolare, a mio avviso, discutibile (ma che va, comunque, rispettata). Qui, per la verità, si profila qualcosa di diverso all’orizzonte: se sarà confermato quanto riportato nella bozza del “D.L. Rilancio”, le causali individuate dall’art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 possono non applicarsi per i contratti prorogabili fino al 31 agosto 2020 (ovviamente, la cosa riguarda anche la somministrazione a termine).
La quarta concerne il rinnovo del contratto: non c’è trasformazione se esso avviene nel c.d. “periodo proibito” al quale ho fatto cenno pocanzi, ma il datore di lavoro può procedere soltanto se inserisce una delle causali “impossibili” previste dall’art. 19, comma 1 (con la sola eccezione delle ragioni sostitutive): ma anche qui, se passerà in Consiglio dei Ministri la disposizione contenuta nella bozza, sarà possibile rinnovare i contratti a tempo determinato, anche in somministrazione, senza alcuna condizione..
La quinta riflessione riguarda un altro aspetto della norma: il Legislatore parla di proroghe e rinnovi di contratti in corso o già esistenti (e scaduti durante il periodo di integrazione salariale), ma non consente l’assunzione, per la prima volta, di un lavoratore a termine, a tempo indeterminato o l’utilizzazione di un somministrato, pur in presenza del COVID-.19, per mansioni uguali a quelle dei lavoratori sospesi o ad orario ridotto.
La sesta riflessione non può che riguardare il contributo addizionale: il Legislatore ha tolto limiti di natura legale ma non lo 0,5% progressivo che continua ad applicarsi con la sola eccezione delle ragioni sostitutive, dei contratti stagionali ex DPR n. 1525/1963, dei contratti definiti come stagionali dalla contrattazione collettiva per la Provincia Autonoma di Bolzano (come se nel resto d’Italia non ci siano previsioni contrattuali in materia di contratti stagionali!), dei contratti fino a tre giorni per servizi particolari nei pubblici esercizi e nel turismo, dei contratti a termine per lavoro domestico, dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, dei contratti a termine del settore agricolo e degli apprendisti. Ora sembra che nel “D.L. Rilancio” venga tolto il contributo addizionale progressivo per un periodo ben definito: vedremo cosa succederà.
La settima considerazione concerne una questione operativa: i datori di lavoro, qualora ce ne fosse bisogno, potranno presentare una nuova domanda integrativa all’ammortizzatore sociale di riferimento (CIGO, FIS, Fondi bilaterali alternativi, CIG in deroga, CISOA) inserendo nel numero complessivo delle nove settimane (il riferimento è l’unità produttiva e non i singoli dipendenti) i lavoratori prorogati o rinnovati: ovviamente, se, come sembra, nel prossimo provvedimento governativo si parlerà di ulteriori dodici settimane di integrazione salariale, la possibilità varrà anche per tale periodo.