Articolo: Assunzioni con incremento occupazionale e vantaggi fiscali

approfondimento di Eufranio Massi per il n. 147 della rivista “Il Mondo del consulente”.

  

ASSUNZIONI CON INCREMENTO OCCUPAZIONALE E VANTAGGI FISCALI

Con il D.M. 25 giugno 2024 del Ministro dell’Economia si è completato il quadro normativo in base al quale i datori di lavoro possono fruire, nel solo anno 2025, della maxi deduzione fiscale da far valere sull’IRPEF e sull’IRES nel caso in cui alla data del 31 dicembre 2024 si sia verificato un incremento degli assunti a tempo indeterminato rispetto a quelli in forza al 31 dicembre dello scorso anno.

Anche in questo caso (è ormai, una costante sempre più presente nel nostro mondo lavoristico) i benefici per le assunzioni agevolate non sono più strutturali, ma a tempo, con una serie di passaggi burocratici che ne rendono difficoltosa la fruizione: un recente esempio, lo abbiamo sotto gli occhi con gli sgravi contributivi per chi assume a tempo indeterminato giovani “under 35”, donne svantaggiate, o “over 35” disoccupati da oltre 24 mesi nella c.d. zona “ZES”, ove, al di là dell’usuale rispetto dei c.d. “pre-requisiti” alle assunzioni, occorre rispettare quelli specifici richiesti dal Legislatore ed attendere, per la piena operatività, l’autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione: il tutto, per sgravi contributivi che riguarderanno soltanto i contratti stipulati in un arco temporale compreso tra il 1° settembre 2024 ed il 31 dicembre 2025.

Ma, andiamo con ordine cercando di comprendere sia ciò che afferma l’art. 4 del D.L.vo n. 216/2013 che il D.M. 25 giugno 2024, con un occhio all’allegato del predetto Decreto Legislativo che comprende le categorie di soggetti che necessitano di una ulteriore protezione e per la cui assunzione l’incremento dell’IRPEF e dell’IRES è del 30%.

Va, prima di tutto, chiarita la platea dei datori di lavoro potenzialmente interessati.

Essi appartengono al settore privato che comprende anche chi esercita arti o professioni, come gli studi dei consulenti del lavoro, ed, inoltre l’ampia declinazione non esclude gli Enti non commerciali – in relazione al reddito di impresa eventualmente conseguito -, le imprese familiari e le società di persone od equiparate): tutti, alla data del 31 dicembre 2023, debbono essere stati attivi per 365 giorni. La disposizione non riguarda le società e gli Enti in liquidazione ordinaria o assoggettati a liquidazione giudiziale o ad istituti liquidatori previsti dalle norme sulla crisi di impresa o di insolvenza.

L’incremento occupazionale dei dipendenti a tempo indeterminato va calcolato confrontando quelli in forza al 31 dicembre 2024 e il numero dei dipendenti a tempo indeterminato, mediamente occupato nel 2023. Il computo, laddove ricorra questa eventualità, va fatto comprendendo le imprese collegate o soggette a controllo, secondo il concetto comunitario di “impresa unica”, presente nella Regolamentazione comunitaria.

Le tipologie contrattuali alle quali occorre riferirsi, sono:

  1. I contratti a tempo indeterminato, anche a tempo parziale, per qualsiasi qualifica o mansione, ivi compresi quelli che riguardano i dirigenti (che, ovviamente, debbono essere assunti a tempo indeterminato e non con contratto a tempo determinato non superiore a 5 anni, sia pure rinnovabile);
  2. Le trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato avvenute nel corso del 2024;
  3. Le assunzioni con contratto di apprendistato che, ai sensi dell’art. 41 del D.L.vo n. 81/2015, è un contratto a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed all’occupazione dei giovani. Ovviamente, la disposizione vale anche per gli apprendisti “over 29”, titolari di un trattamento di NASPI (art. 47, comma 4 del D.L.vo n. 81/2015) o di un trattamento di CIGS per transizione occupazionale che è l’integrazione salariale in deroga, per un massimo di dodici mesi, non rinnovabili, prevista dall’art. 22-ter del D.L.vo n. 148/2015, nei casi di difficile ricollocazione: la tipologia deve essere finalizzata ad una qualificazione o riqualificazione professionale.

Sono, invece, da escludere:

  1. Il contratto di lavoro intermittente, sia pure a tempo indeterminato, per la saltuarietà e la episodicità delle prestazioni che non assicurano alcuna stabilità occupazionale e che dipendono, unicamente, dalla “chiamata” del datore di lavoro;
  2. Il contratto di lavoro domestico a tempo indeterminato, per la peculiarità del rapporto.

Il D.M. chiarisce che l’incremento occupazionale sopra considerato, ha una propria rilevanza se al termine del periodo di imposta relativo all’anno 2024, il numero dei lavoratori dipendenti, compresi quelli con contratto a tempo determinato, risulta essere superiore al numero medio degli occupati nel periodo d’imposta antecedente.

Altri chiarimenti, peraltro sintetizzabili, riguardano:

  1. Gli incrementi occupazionali: essi si intendono neutralizzati se risultano essere il frutto di trasferimenti di azienda, o di riorganizzazione aziendale come la fusione o la scissione di parti dell’impresa. Il chiarimento non riguarda il cambio di appalto con l’assorbimento nell’organico della azienda appaltatrice, in virtù di una clausola sociale, di tutti i dipendenti già in forza presso il precedente appaltatore: qui sarebbe necessario un intervento amministrativo, magari con nota esplicativa, finalizzato a chiarire se si tratta di incremento occupazionale (cosa possibile) o se le nuove assunzioni debbano essere neutralizzate come nel trasferimento di azienda;
  2. Calcolo incrementale: i lavoratori assunti a tempo indeterminato e distaccati all’estero per tutta la durata del loro impiego “fuori confini”, non vanno conteggiati;
  3. Trasformazione di contratti a tempo determinato in essere: l’incremento occupazionale si realizza anche nel caso in cui, nel corso del 2024, gli stessi vengano trasformati, come detto in precedenza, da contratti a termine in contratti tempo indeterminato;
  4. Computo dei dipendenti con contratto a tempo parziale: il calcolo va fatto “pro-quota”, in proporzione all’orario contrattualmente previsto, così come stabilisce l’art. 9 del D.L.vo n. 81/2015;
  5. Lavoratori con contratto di somministrazione: possono rientrare nel computo dell’incremento occupazionale del datore di lavoro utilizzatore in misura proporzionale alla durata della missione, a condizione che l’Agenzia di Lavoro li abbia assunti a tempo indeterminato;
  6. Società cooperative di produzione e lavoro: i soci lavoratori (ossia, coloro che, in data successiva alla costituzione del rapporto associativo, hanno sottoscritto con le cooperative, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, contratti di lavoro subordinato), sono equiparati ai lavoratori dipendenti;
  7. Incremento occupazionale: va considerato al netto delle diminuzioni occupazionali registratesi in società controllate o collegate o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto. E’ questo il concetto di “impresa unica” al quale si è già accennato che, da ultimo, viene ribadito anche nel Regolamento UE n. 2831/2013 sul “de minimis”, in vigore dal 1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2030. Per quel che riguarda anche le condizioni legali in base alle quali si può parlare di impresa controllata o collegata è sufficiente riferirsi alla casistica indicata chiaramente ed efficacemente dall’art. 2359 c.c.

Alcune riflessioni, a questo punto, si rendono necessarie.

L’art. 4 del D.L.vo n. 216/2013 ed il D.M. applicativo si discostano dalla regolamentazione comunitaria per il calcolo dell’incremento occupazionale. Infatti, quest’ultima, ripresa dal nostro ordinamento (e, in via amministrativa, dall’INPS e dal Ministero del Lavoro), seppur calcolata in termini di U.L.A. (unità di lavoro annuo), esclude, giustamente, dal computo chi ha lasciato l’azienda per raggiungimento dei limiti di età per andare in pensione, chi si è volontariamente dimesso dal proprio posto di lavoro, chi è stato licenziato per giusta causa e chi, infine, ha ridotto volontariamente il proprio orario di lavoro, sottoscrivendo un apposito atto con il proprio datore, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015. Ebbene, di tale “scomputo” non c’è traccia nel D.M. (ed, a mio avviso, è un errore), atteso che i datori di lavoro lo adoperano, comunemente, in tutte le situazioni nelle quali la norma agevolatrice lo richieda (da ultimo, l’art. 23 del D.L. n. 60/2024 convertito, con modificazioni, nella legge n. 95, relativo alle assunzioni di “donne svantaggiate”).

Ma, andando al fulcro dell’agevolazione, in cosa consiste la maxi deduzione fiscale?

Sulla deduzione che, in via normale per l’IRPEF e per l’IRES, è del 100% relativo al costo del lavoro (retribuzione, contributi, quota del trattamento di fine rapporto, ecc.), viene applicato, per il solo 2025, un coefficiente di maggiorazione pari al 20% o al 30% per le assunzioni riferite a soggetti degni di protezione compresi in un elenco allegato al D.L.vo n. 216/2023.  A tal proposito, il comma 3 dell’art. 4 stabilisce che:

  1. Il costo riferibile all’incremento occupazionale è pari al minor importo tra il costo effettivo relativo ai nuovi assunti e l’incremento complessivo del costo del personale risultante dal conto economico rispetto a quello relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
  2. Per i soggetti che in sede di redazione di bilancio non adottano lo schema del conto economico si assumono le corrispondenti voci di costo del personale.

Si era parlato nel comma 5, della possibilità di prevedere coefficienti di maggiorazione diversi (tra il 21% ed il 30%) tra le varie categorie di lavoratori meritevoli di maggiore tutela: molto opportunamente il D.M. ha attribuito la stessa percentuale (30%) a tutti.

Nella categoria dei lavoratori svantaggiati rientrano una serie di categorie individuate dal Legislatore in un allegato al D.L.vo n. 216/2023 il quale, per la formulazione adottata per la individuazione delle donne vittime di violenza, suscita diverse perplessità. Esso comprende:

  1. Soggetti ”molto svantaggiati”, come individuati dal Regolamento UE n. 651/2014 e successive modificazioni, fatti propri dal D.M. 17 ottobre 2017 del Ministro del Lavoro. Vi rientrano i soggetti che da oltre 24 mesi non hanno un lavoro regolarmente retribuito (ma ci sono anche altre situazioni di disagio che sono le più disparate e per le quali appare sufficiente leggere l’allegato sopra richiamato);
  2. Persone con disabilità, come individuate dall’art. 1 della legge n. 68/1999, persone svantaggiate ex art. 4 della legge n. 381/1991, ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, soggetti in trattamento psichiatrico, tossico dipendenti, alcoolisti, minori in età lavorativa che presentano situazioni di difficoltà familiari, persone detenute od internate nelle carceri, condannati ed internati ammessi alle misure alternative alla detenzione ed al lavoro all’esterno, ex art. 21 della legge n. 354/1975;
  3. Donne di qualsiasi età con almeno 2 figli di età inferiore ai 18 anni o prive di un lavoro regolarmente retribuito da almeno 6 mesi residenti in regioni ammissibili al finanziamento nell’ambito dei Fondi strutturali comunitari e nelle aree ex art. 2, numero 4, lettera f) del Regolamento n. 651/2014, individuate, annualmente, con D.M. del Ministro del Lavoro “concertato” con quello dell’Economia;
  4. Donne vittime di violenza, inserite nei percorsi di protezione certificati dai centri antiviolenza ex art. 5-bis del D.L. n. 119/2013, da cui sia derivata la deformazione o lo sfregio permanente del viso accertato dalle competenti commissioni mediche di verifica. Tale norma, a mio avviso, va cambiata in quanto il solo riferimento alle donne che hanno subito uno sfregio permanente al viso esclude quelle che lo hanno avuto in altra parte del corpo, rimanendo anche paralizzate, o che hanno subito una fortissima violenza psicologica;
  5. Giovani ammessi agli incentivi per l’occupazione giovanile ex art. 27, comma 1, del D.L. n. 48/2023 (si tratta degli “under 30” i c.d. “NEET” che non lavorano e non studiano e che sono registrati nel PON Iniziativa Occupazione Giovani);
  6. Lavoratori con sede di lavoro situata in Regioni che nel 2018 presentavano un prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75% della media EU27 o, comunque, compreso tra il 75% ed il 90%, e un tasso di occupazione inferiore alla media nazionale;
  7. Ex percettori del reddito di cittadinanza decaduti dal beneficio per effetto dell’art. 1, commi da 313 a 318, della legge n. 197/2022 e che non presentino i requisiti necessari per l’accesso all’assegno di inclusione.

Da ultimo, sottolineo come, né l’art. 4 del D.L.vo n. 216/2023 né il D.M. 25 giugno 2024, pur trattando di benefici in favore degli incrementi occupazionali attraverso la leva fiscale, non facciano alcun cenno ai c.d. “pre-requisiti” alle assunzioni agevolate. Si tratta degli articoli 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 (regolarità contributiva, rispetto delle norme in materia di lavoro, rispetto del trattamento previsto dagli accordi, anche di secondo livello, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale) e dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015. Personalmente ritengo che debbano essere rispettati, in quanto si tratta di una agevolazione, sia pure di natura fiscale, erogata dalla Finanza Pubblica. Su questo punto, sarebbe opportuno e doveroso un chiarimento amministrativo.

 

Eufranio MASSI

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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