Articolo: 2024: Quali novità nel breve periodo per il mondo del lavoro

approfondimento di Eufranio Massi per il n. 142 della rivista “Il Mondo del consulente”.

  

 2024: QUALI NOVITA’ NEL BREVE PERIODO PER IL MONDO DEL LAVORO

L’anno che volge al termine pone, quale interrogativo, il quesito di cosa ci si aspetta nei prossimi mesi in materia di lavoro: si tratta di questioni che scaturiscono da impegni previsti da norme già vigenti ma anche da situazioni delineate nei provvedimenti di legge all’esame del Parlamento.

La riflessione che segue vuol essere, unicamente, una sorta di agenda di ciò che accadrà (o potrebbe accadere) nei prossimi mesi.

Ma, andiamo con ordine.

 Contratti a tempo determinato

Il superamento delle rigide regole del D.L. n. 87/2018 (c.d. “decreto Dignità”) impone alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (o alle loro articolazioni periferiche o aziendali, secondo il richiamo dell’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015) di identificare le causali alle quali dovranno attenersi i datori di lavoro che, superata la soglia dei primi 12 mesi “acausali”, debbono apporre una condizione per prorogare un rapporto a termine o per stipularne uno nuovo per mansioni dello stesso livello della categoria legale di inquadramento. Finora, è un dato che si desume facilmente, la contrattazione collettiva “qualificata” (almeno riferita ai contratti collettivi più importanti) non ha fatto nulla (la disposizione è in vigore dal 5 maggio u.s.): è pur vero che il datore di lavoro può, sulla base di esigenze tecnico-produttive ed organizzative, comunque declinate nella lettera di assunzione per non correre rischi in caso di contenzioso, individuare, pattiziamente, causali specifiche, ma tale possibilità cesserà il 30 aprile 2024. A mio avviso, se il quadro generale rimarrà più o meno lo stesso, sarà opportuno prorogare il termine appena citato, per far sì che la riforma entrata in vigore non si arresti alla soglia dei 12 mesi di contratto (anche in sommatoria con la somministrazione a termine) ed al datore di lavoro non restino che le causali per ragioni sostitutive.

Fringe benefits

Il disegno di legge relativo al Bilancio per l’anno prossimo è stato presentato in Parlamento e, tra le novità, sia pure non strutturali perché limitate al solo 2024, c’è la nuova normativa sui Fringe Benefits con una modifica che va a toccare l’art. 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del D.P.R. n. 917/1986.

Il tetto massimo di valori ceduti e servizi prestati ai lavoratori dipendenti (ma anche ai c.d. “assimilati” che sono i collaboratori e gli amministratori) che non concorrerà a formare il reddito complessivo sarà di:

  1. 000 euro per i lavoratori senza figli;
  2. 000 euro per i lavoratori con figli, compresi quelli nati fuori del matrimonio riconosciuti, figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 12, comma 2, del predetto D.P.R.;

I 1.000 ed i 2.000 euro non sono una franchigia, ma un limite, cosa che comporta, in caso di superamento, l’assoggettabilità fiscale totale degli importi.

Domande preliminari: il datore di lavoro sarà obbligato ad erogare i Fringe benefits? Li può diversificare all’interno delle due fasce previste?

La circolare n. 23/E/2023, in linea con un chiarimento già fornito con la precedente nota n. 35/E/2022, ricorda che i fringe benefits ex art. 51, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986 possono essere corrisposti dal datore di lavoro anche “ad personam”, con esclusione di soggetti che, potenzialmente, ne avrebbero diritto: ovviamente, tale situazione potrebbe portare ad attriti in azienda, cosa che, soprattutto in determinati contesti, il datore di lavoro deve mettere in conto, prima di prendere decisioni “ad excludendum”.

L’art. 6 del disegno di legge (probabilmente, non sarà quello del testo finale se tutto passerà attraverso il voto di fiducia su un maxi emendamento), dispone che nelle spese rimborsate rientrino quelle di luce, gas ed acqua (e qui non c’è alcuna novità rispetto all’anno in corso), ma anche le spese per l’affitto della prima casa o gli interessi sul mutuo sempre della prima casa. Tali voci si aggiungono ad altre che, comunemente, hanno titolo per rientrarvi: mi riferisco, ad esempio, agli omaggi natalizi, alle polizze assicurative extra professionali, alle auto aziendali adoperate in maniera promiscua, ecc.)

Tanto per fare qualche ulteriore esempio, prendendo lo spunto dalle precedenti note dell’Agenzia delle Entrate, possono essere oggetto di rimborso le utenze per uso domestico, intestate al condominio ma ripartite “pro-quota” tra i condomini che, pur avendo il locatore come riferimento, risultino dal contratto di affitto “caricate” sul locatario (o suo familiare) in forma di addebito analitico e non forfettario, purchè, effettivamente, sostenute. Ovviamente, il locatore non potrà beneficiare degli importi relativi a tali spese.

Per poter “godere” del beneficio per figli a carico è necessario che gli stessi siano fiscalmente a carico: essi sono tali se non possiedono un reddito lordo superiore a 2.840, 51 euro. Se, invece, sono di età non superiore a 24 anni, il limite reddituale è di 4.000 euro. Tale riscontro andrà fatto alla fine del 2024, in fase di conguaglio fiscale. Tale operazione sarà di particolare importanza in quanto se il figlio avrà avuto redditi superiori alla soglia massima, occorrerà procedere alle operazioni di recupero a carico del dipendente.

La norma dispone che il datore di lavoro si attivi su richiesta del lavoratore sul quale incombe, altresì, l’onere di comunicare il codice fiscale dei figli a carico. La norma, ripetendo quanto già affermato per il benefit del 2023, ricorda che sul datore grava l’onere della informativa alle rappresentanze sindacali unitarie (RSU), nel caso in cui proceda al riconoscimento delle esenzioni. Essa, secondo l’Agenzia delle Entrate (v. circolare n. 35/E) potrà avvenire anche dopo l’erogazione, ma entro il termine di chiusura del periodo di imposta 2024.

Da quanto risulta dalla norma contenuta nel disegno di legge che, sul punto, è identica a quella contenuta nell’art. 40 del D.L. n. 48/2023, queste mi sembrano le regole a cui è tenuto il datore di lavoro:

  1. L’onere della informativa grava, unicamente, sulle imprese ove sia stata costituita la Rappresentanza Sindacale Unitaria, pur se quella in carica, sia scaduta e debba essere rinnovata;
  2. Non sussiste alcun obbligo di informativa, in assenza di costituzione della RSU, nei confronti dei singoli rappresentanti sindacali aziendali;
  3. Non sussiste alcun obbligo di informativa nei confronti delle strutture territoriali di categoria delle organizzazioni sindacali.

L’agevolazione, afferma l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 23/E, viene riconosciuta in misura intera ad ogni genitore che fruisce di reddito da lavoro dipendente o assimilato, pur in presenza di un solo figlio, a condizione che quest’ultimo sia fiscalmente a carico di entrambi. L’agevolazione spetta ad entrambi i genitori, anche nel caso in cui la detrazione per i figli fiscalmente a carico avviene su quello tra i due che ha l’ammontare reddituale più alto, atteso che dalla norma scaturisce la considerazione che il figlio (o i figli) sono a carico di entrambi.

Rispetto al passato, il disegno di legge prevede due nuove possibili categorie di esenzione: le spese di affitto e gli interessi sul mutuo della prima casa. Qui, dopo l’entrata in vigore della norma, sarà opportuno attendere ciò che dirà l’Agenzia delle Entrate, anche per capire le modalità della richiesta del dipendente o del collaboratore. In ogni caso, non si è lontani dalla realtà affermare che i contenuti della stessa dovrebbero, così, essere definiti:

  1. Di avere diritto all’agevolazione prevista;
  2. Di essere genitore del figlio o dei figli (con l’indicazione dei nominativi e del codice fiscale) i quali non superano i limiti reddituali già indicati dall’Agenzia delle Entrate e che, di conseguenza, debbono essere considerati fiscalmente a carico;
  3. Di voler fruire dell’agevolazione anche attraverso il rimborso di utenze domestiche del servizio idrico integrato, del gas e dell’energia elettrica o anche delle spese dell’affitto o degli interessi sul mutuo della prima casa;
  4. Di impegnarsi a comunicare, sollecitamente, qualsiasi variazione riguardante il proprio nucleo familiare, anche se ciò dovesse comportare la perdita del beneficio ed il recupero di quanto già percepito.

Sarà onere del datore conservare tutta la documentazione.

Un’altra questione che si porrà, come in passato, sarà quella relativa ad una possibile richiesta di un lavoratore finalizzata a “coprire” i 1.000 o i 2.000 euro, in tutto o in parte, con i premi di risultato o con le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili di impresa.

La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 23/E è che la sostituzione dei premi di risultato e degli utili, potenzialmente assoggettabili ad imposta sostitutiva (nel 2024 il 5%), con somme erogate per il pagamento delle utenze domestiche, potrà avvenire soltanto se il contratto aziendale o quello territoriale prevedano la sostituibilità degli stessi con i fringe benefits.

Cuneo fiscale

Anche per il 2024 viene confermato il cuneo fiscale (“rectius” contributivo), con riduzione dell’aliquota di 7 o 6 punti sulla quota a carico del lavoratore, come già previsto dal D.L. n. 48/2023 per le retribuzioni che, rispettivamente, non superano, mensilmente, il limite dei 1.923 e dei 2.692 euro (non applicabili alla tredicesima ed alle eventuali mensilità aggiuntive). Qui, nulla è cambiato rispetto al recente passato.

Ciò che preme sottolineare è che dal prossimo anno, per effetto di una norma inserita in un decreto legislativo emanato in attuazione della legge delega fiscale e già approvato, in prima lettura, dal Consiglio dei Ministri, sui redditi da lavoro compresi tra 16.000 e 30.000, si aggiungerà un vantaggio progressivo fino a 260 euro annui (11,27 euro per chi fruisce di retribuzione annua di 16.000 euro).

I necessari approfondimenti saranno effettuati allorquando la norma diverrà definitiva.

Congedi parentali

A partire dal 2024 (anche questa disposizione è contenuta nel disegno di legge di Bilancio per l’anno 2024) i genitori potranno usufruire di due mesi di congedo, in alternativa tra loro, fino al compimento di 6 anni della prole: l’indennizzo sarà pari all’80%: per gli altri mesi che spettano la percentuale resta al 30%. Le nuove disposizioni (se saranno confermate) troveranno applicazione ai lavoratori ed alle lavoratrici che termineranno il congedo di maternità o di paternità dopo il 31 dicembre 2023. Non muterà, quindi, la durata massima del congedo parentale ma migliorerà il trattamento economico: indicazioni specifiche saranno fornite dall’INPS (e ci si augura anche dal Ministero del Lavoro) dopo l’entrata in vigore della legge.

Agevolazioni per le assunzioni

Come è noto, il 20 novembre u.s., la Commissione europea ha prorogato il Temporary Framework che dispone regole straordinarie per gli Aiuti di Stato (tra cui rientrano le agevolazioni per le assunzioni di personale già effettuate), fino al prossimo 30 giugno 2024, motivandolo con la continuazione della guerra tra la Russia e l’Ucraina.

Alcune delle agevolazioni connesse alle assunzioni di lavoratori (penso agli “under 36, o alle donne “svantaggiate”) sono previste, con i notevoli benefici previsti dalla recente normativa, unicamente per i rapporti che saranno instaurati entro il prossimo 31 dicembre.

Cosa succederà dal 1° gennaio se un datore intenderà assumere tali soggetti?

Attualmente, la norma non prevede nulla: in mancanza di una disposizione specifica che, a mio avviso, potrebbe essere inserita nel c.d. “Decreto Milleproroghe” che, ogni anno, viene varato dal Governo di turno, intorno al 30 dicembre, non rimarrebbe che tornare al passato con i limiti di importo e di età, previsti dai commi 100 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 205/2017 (30 anni di età come tetto massimo) o dall’art. 4, commi da 8 ad 11, della legge n. 92/2012 (per il personale femminile “svantaggiato”).

Vedremo cosa succederà.

Nuove regole per le dimissioni

Nel disegno di legge, presentato all’esame del Parlamento il 6 novembre u.s., c’è una disposizione, largamente attesa dalle aziende e dai professionisti, finalizzata a risolvere, in via definitiva, la questione delle dimissioni del lavoratore che non effettua la procedura telematica prevista dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo.

Le dimissioni per “fatti concludenti” (allontanamento volontario dal posto di lavoro e conseguente assenza ingiustificata) sposata dal Tribunale di Udine con la sentenza n. 20 del 27 maggio 2022 è stata superata dalla ordinanza n. 27331/2023 della Corte di Cassazione la quale ha affermato che, alla luce del predetto art. 26, le dimissioni e le risoluzioni consensuali debbono, necessariamente, passare, pena l’inefficacia degli atti, attraverso la procedura telematica prevista dal D.M. applicativo. Le uniche eccezioni sono quelle conciliative avanti agli organismi ex art. 410 e 411 cpc e quelle avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro ex art. 55 del D.L.vo n. 165/2001. E’ questo il principio, della c.d. “tipicità delle forme”.

Ora, il Governo, attraverso l’art. 9 del disegno di legge all’esame delle Camere, inserisce, all’interno dell’art. 26, un nuovo comma, il 7-bis, che recita: “In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 5 giorni, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina di cui al presente articolo”.

Il quadro normativo, come ben si vede, cambierà profondamente in quanto:

  1. In caso di dimissioni non formalizzate attraverso la procedura, il datore di lavoro dovrà verificare ciò che dispone il proprio CCNL in caso di assenza ingiustificata protratta per più giorni (ad esempio, quello dei metalmeccanici ne prevede 3): se il CCNL non dovesse dire nulla, occorrerà attendere almeno 6 giorni (il disegno di legge parla di un termine superiore a 5 giornate) ed il rapporto sarà risolto per volontà del dipendente. Ovviamente, prima di procedere sarà opportuno verificare se l’assenza sia dovuta a motivazioni giustificabili;
  2. L’assenza ingiustificata protratta per più giornate farà sì che il datore non debba più procedere al licenziamento ed al conseguente “esborso” del contributo di ingresso alla NASPI che, oggi, per una anzianità pari o superiore ai 3 anni è pari a 1809,30 euro;
  3. Il lavoratore non avrà più diritto all’indennità di disoccupazione che spetta, unicamente, in caso di licenziamento, di dimissioni per giusta causa o di dimissioni confermate in “sede protetta” per la donna (dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno dalla nascita del bambino) e per l’uomo fruitore del congedo di paternità dal momento in cui inizia a fruirne e fino ad un anno dalla nascita del bambino.

Periodo di prova nel contratto a tempo determinato

L’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022, entrato in vigore il 13 agosto 2022, prevedeva che per i contratti a tempo determinato il periodo di prova, necessariamente più corto rispetto a quello individuato dalla contrattazione collettiva per i rapporti a tempo indeterminato, fosse definito in sede di assunzione, ma, da allora, le parti sociali poco o nulla hanno fatto.

Ora, attraverso l’art. 6 del disegno di legge più volte citato, all’esame del Parlamento, il Governo indica una linea di comportamento, atteso che, per effetto della norma, sarà inserita all’interno del comma 2 dell’art. 7 del D.L.vo n. 104/2022 una frase che dispone: “Fatte salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è fissata in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a 2 giorni e superiore a 15 giorni per i contratti con durata non superiore a 6 mesi, e 30 giorni per quelli di durata superiore a sei mesi e inferiori a 12 mesi”.

Ogni riflessione sull’argomento è, al momento, prematura e, senz’altro, è da rimandare, quantomeno, a quando la norma, che potrebbe essere anche emendata nel corso del dibattito parlamentare, entrerà in vigore.

 Eufranio MASSI

 

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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