Agenzia Entrate: trattamento fiscale delle somme erogate alle lavoratrici madri
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 57/E del 1° marzo 2024, risponde ad un quesito in merito alla possibilità da parte di un datore di lavoro di riconoscere a tutte le lavoratrici madri, al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità, una somma equivalente alla differenza fra l’indennità di congedo di maternità facoltativa o di congedo parentale a carico dell’INPS, e il 100% della retribuzione mensile lorda. Se tale importo soddisfi i presupposti di non imponibilità di cui al secondo e terzo comma dell’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir).
Questo il parere fornito dall’Agenzia delle Entrate.
L’articolo 51, comma 1, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), stabilisce che «Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
Con la predetta disposizione viene sancito il c.d. ”principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, in virtù del quale tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Il medesimo articolo 51 individua, tuttavia, al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3, specifiche deroghe, elencando le opere, i servizi, le prestazioni e i rimborsi spesa che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte, sempreché l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente in violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione.
In altri termini, la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente deve essere coordinata col principio di onnicomprensività che, riconducendo nell’alveo di tale categoria reddituale tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, riconosce l’applicazione residuale delle predette deroghe, in ragione anche della circostanza che i benefit ivi previsti non sempre assumono una connotazione strettamente reddituale.
Pertanto, qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione.
La circolare 15 giugno 2016, n. 28/E definisce welfare aziendale le «prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese aventi finalità che è possibile definire, sinteticamente, di rilevanza sociale, escluse dal reddito di lavoro dipendente».
Come ribadito nella risoluzione 25 settembre 2020, n. 55/E, in base al comma 2, occorre che i benefit siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti. Al riguardo, l’Amministrazione Finanziaria ha più volte precisato che il legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione ”alla generalità dei dipendenti” ovvero a ”categorie di dipendenti”, non riconosce l’applicazione delle disposizioni tassativamente elencate nel comma 2 ogni qual volta le somme o servizi ivi indicati siano rivolti ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori (vedasi circolari del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326 e 16 luglio 1998, n. 188; nonché circolari Agenzia delle Entrate 16 giugno 2016, n. 28/E e 29 marzo 2028 n. 5/E). La citata prassi ha ulteriormente chiarito che l’espressione ”categorie di dipendenti” utilizzata dal legislatore non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo ”tipo” o di un certo ”livello” o ”qualifica” (ad esempio tutti gli operai del turno di notte), ovvero ad un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle ”utilità” previste.
Non si ritiene, invece, possibile individuare una ”categoria di dipendenti” sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente.
Inoltre, come precisato anche dalla risoluzione n. 55/E del 2020, nell’ipotesi in cui il piano di welfare fosse alimentato anche da somme costituenti retribuzione fissa o variabile degli aderenti fatta salva l’ipotesi disciplinata dall’articolo 1, commi 182 a 189, della legge 28 dicembre 2015 ovvero la parte di importo riconosciuto ai dipendenti sotto forma di welfare (cd. credito welfare) non utilizzato si convertisse in denaro, rimarrebbe impregiudicata la rilevanza reddituale dei ”valori” corrispondenti ai servizi offerti agli stessi in base alle ordinarie regole dettate per la determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Nel caso in esame, l’Istante intende erogare alle lavoratrici madri che alla fine del periodo di astensione obbligatoria usufruiscono del periodo di maternità facoltativa o congedo parentale, un importo, sotto forma di welfare, corrispondente alla differenza tra il cento per cento della retribuzione lorda e l’indennità di maternità o congedo parentale, per un periodo di tre mesi.
Al riguardo, si rileva che la somma che alimenta il credito welfare individuale sarebbe costituita dalla differenza tra quanto erogato dall’INPS e la retribuzione fissa spettante alla dipendente qualora rientrasse in servizio. Pertanto, sulla base della circostanza che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea ad individuare una ”categoria di dipendenti” nel senso sopra illustrato, si ritiene che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del Tuir, in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive.
Fonte: Agenzia Entrate