Agenzia Entrate: mancata fruizione dell’agevolazione per i lavoratori impatriati
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 59 del 13 febbraio 2020, fornisce risposta ad un quesito in merito alla possibilità di fruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 16, comma 2, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, a decorrere dalla data di trasferimento della residenza in Italia.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate
In via preliminare, si evidenzia che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000.
Nel seguito, pertanto, si forniscono alcune indicazioni di carattere strettamente interpretativo sulle disposizioni applicabili al caso prospettato.
L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati”. La citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’articolo 5 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), in vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione, ai sensi del comma 2 del citato articolo 5 del d.l. n. 34 del 2019, come modificato dall’articolo 13-ter, comma 1, del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124 (convertito dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157), “a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”.
Nell’ipotesi di trasferimento della residenza fiscale in Italia prima del 30 aprile 2019, occorre far riferimento all’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015, nella formulazione vigente fino al 30 aprile 2019, secondo cui al verificarsi delle condizioni richieste, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.
Il comma 2 del citato articolo 16 prevede che sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
- hanno svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015).
Si ricorda che, ai sensi del sopra citato articolo 2 del TUIR, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Le condizioni appena indicate sono fra loro alternative; pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Oltre al trasferimento della residenza fiscale in Italia, è necessaria la permanenza per almeno due anni nel nostro Paese a pena di decadenza dall’agevolazione (cfr. articolo 3, decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 26 maggio 2016).
Si osserva che il comma 2 dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo articolo 16.
A tale proposito, come chiarito con la risoluzione n. 51/E del 7 luglio 2018, considerato che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, si ritiene che per i predetti soggetti, la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisce il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo.
L’agevolazione fiscale risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato. Ciò è in linea con la finalità delle norme tese ad agevolare i soggetti che si trasferiscono in Italia per svolgervi la loro attività e, in particolare, con il tenore letterale dell’articolo 16 del d.lgs. n. 147 del 2015 – norma di carattere generale per l’ampiezza dei destinatari ai quali si rivolge – il quale dichiara espressamente agevolabili i redditi prodotti in Italia. Per individuare tali redditi si rinvia ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR, il quale considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. In linea generale, quindi, l’esenzione non spetta per i redditi derivanti da attività di lavoro prestata fuori dai confini dello Stato.
In merito al tempo intercorrente tra il trasferimento della residenza e l’inizio dell’attività lavorativa in Italia, la circolare n. 17/E del 2017 (Parte II paragrafo 3.1) ha chiarito che possono accedere al beneficio coloro che trasferiscono la residenza in Italia prima ancora di iniziare lo svolgimento di detta attività, a condizione che sia ravvisabile un collegamento tra i due eventi.
Con riferimento alla fruizione dell’agevolazione nei cinque periodi d’imposta dal trasferimento della residenza fiscale in Italia, la citata circolare n. 17/E del 2017 (pag. 28) chiarisce che ai soggetti destinatari del comma 2 dell’articolo 16 non è richiesto, tra l’altro, che l’attività lavorativa debba essere prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni.
In relazione alle modalità di fruizione del beneficio si rammenta che, come chiarito con la citata circolare 17/E del 2017 (Parte II, par. 4.2.1), il datore di lavoro applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell’assunzione, mediante applicazione delle ritenute sull’imponibile ridotto alla percentuale di reddito tassabile prevista dal regime agevolativo per il quale il lavoratore ha presentato la richiesta scritta, al quale saranno commisurate le relative detrazioni.
Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi. In tale caso il reddito di lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta.
A tal riguardo le istruzioni al modello di dichiarazione annuale chiariscono che nel quadro RC (“Redditi di lavoro dipendente“) sezione I, “Casi particolari“, va indicato il codice “4” “se si fruisce in dichiarazione dell’agevolazione, prevista per i lavoratori impatriati che rientrano in Italia dall’estero” e “il reddito di lavoro dipendente va indicato nei righi da RC1 a RC3 già nella misura ridotta“.
Nel caso di specie si ritiene che l’accordo precontrattuale sottoscritto dall’Istante il 24 aprile 2017 con la società estera, sia idoneo a giustificare il collegamento tra il trasferimento della residenza (a maggio 2017) e l’inizio dell’attività lavorativa in Italia (a settembre 2017).
Conseguentemente, laddove l’Istante sia in grado di provare la residenza all’estero antecedentemente al rimpatrio, sempreché sussistano tutti i requisiti richiesti dalla norma, si ritiene che possa rientrare nel regime di cui all’articolo 16 (nella versione in vigore fino 30 aprile 2019), a partire dal periodo d’imposta 2017 e per i quattro periodi di imposta successivi.
Tuttavia, l’Istante dichiara di non aver formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta di rimpatrio (2017) né nel periodo di imposta successivo (2018), né ne ha dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, i cui termini di presentazione ad oggi risultano scaduti.
Pertanto, per detti periodi di imposta, l’accesso al regime è precluso; tuttavia, l’ Istante potrà fruire del regime in esame per i restanti tre periodi di imposta del quinquennio agevolabile, con le modalità su esposte.Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
Fonte: Agenzia Entrate