Agenzia Entrate: accordo conciliativo – qualificazione del reddito

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 98/E del 14 aprile 2025, fornisce alcuni chiarimenti in merito alla possibilità di qualificare il reddito derivante dalla conciliazione giudiziale come reddito da lavoro dipendente, ai sensi degli articoli 49 e 51 del Testo Unico dell’Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 e alla corretta individuazione del Paese avente la potestà impositiva, in applicazione degli articoli 169 del TUIR, 75 del D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600 e 15 della Convezione stipulata tra l’Italia e la Spagna per evitare le doppie imposizioni, ratificata con Legge 29 settembre 1980, n. 663.

 

La risposta dell’Agenzia delle Entrate

In via preliminare, si evidenzia che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000.

Infatti, come affermato più volte nei documenti di prassi, sono escluse dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa amministrazione finanziaria solo in sede di accertamento, come le questioni involgenti la residenza delle persone fisiche (Cfr. Circolare 1 aprile 2016, n. 9/E, e Risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E).

Pertanto, la seguente risposta si basa sui fatti così come prospettati nell’istanza di interpello, fermo restando, in capo al competente Ufficio finanziario, l’ordinario potere di verifica e di accertamento nei confronti dell’Istante.

Nell’assunto di una residenza fiscale in Spagna dell’Istante per l’anno x ­ circostanza si ribadisce non riscontrabile in questa sede ­ l’articolo 3, comma 1, del TUIR prevede che ”l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”. Pertanto, l’Istante, quale soggetto non residente, sarebbe tenuto a dichiarare nel nostro Paese soltanto i redditi prodotti in Italia.

In merito alla corretta qualificazione del reddito derivante dalla conciliazione giudiziale, l’articolo 49 del TUIR, al comma 1, stabilisce che ”Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro”.

Ai fini della determinazione di tali redditi, l’articolo 51, comma 1, del TUIR prevede che ”Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori    in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Le richiamate disposizioni sanciscono il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, ossia la totale imponibilità di tutto ciò che il lavoratore riceve in relazione al rapporto di lavoro.

La Circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326, al paragrafo 2.1, nell’individuare le componenti che concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente, ha espressamente chiarito che vi rientrano anche ”le somme e i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso”.

Ciò premesso, ai fini della qualificazione reddituale delle somme riconosciute  in sede di conciliazione giudiziale, occorre considerare che la conciliazione ha posto fine all’azione giudiziaria disciplinando gli obblighi reciproci concernenti la cessazione consensuale del rapporto di lavoro. Per tale motivo, si ritiene che le somme vadano qualificate, in virtù della definizione onnicomprensiva contenuta nell’articolo 51 del TUIR, quali redditi da lavoro dipendente (Cfr. Risposta ad interpello n. 343 del 2022).

Per determinare il corretto trattamento tributario delle somme ricevute dal Contribuente, si rammenta che l’articolo 17, comma 1, lettera a) del TUIR prevede che siano assoggettate a tassazione separata non soltanto le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto, ma anche le altre indennità e somme percepite una tantum in occasione della cessazione del rapporto di lavoro dipendente, nonché le somme, comunque percepite, a seguito di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro, fra cui vi rientrano le somme percepite in sede di conciliazione giudiziale relativa alla cessazione del rapporto di lavoro.

Detti emolumenti sono tassati secondo le modalità previste dall’articolo 19 del TUIR e assoggettati a ritenuta alla fonte in base all’articolo 23, comma 2, lettera d)  del D.P.R. n. 600 del 1973.

Con specifico riferimento ai soggetti non residenti, l’articolo 23, comma 2, lettera a) del TUIR reca una presunzione assoluta in base alla quale si devono considerare prodotti nel territorio italiano e, come tali, soggetti a tassazione in Italia, ai sensi dell’articolo 3 dello stesso Testo Unico, i redditi derivanti dalle indennità di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) del TUIR ”se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti”.

Da ciò consegue che, qualora l’erogante sia un soggetto residente in Italia, gli emolumenti corrisposti al contribuente dovrebbero essere assoggettati ad imposizione nel nostro Paese con le modalità sopra illustrate.

Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni contenute nella Convenzione stipulata dall’Italia con la Spagna.

Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. n. 600, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

Al riguardo, il Modello OCSE di Convenzione per eliminare le doppie imposizioni non contiene una disposizione specifica per gli emolumenti erogati ai dipendenti al momento della cessazione dell’impiego, in considerazione del trattamento giuridicamente e fiscalmente differenziato che detti emolumenti ricevono nelle singole legislazioni nazionali.

Con la Risoluzione 1° agosto 2008, n. 341/E, riguardante l’applicazione della Convenzione stipulata con la Germania, è stato precisato che, per quanto concerne l’Italia, il trattamento di fine rapporto ha sostanzialmente natura di  retribuzione,  seppur differita, per cui è stato ricondotto nell’ambito applicativo dell’articolo 15 della Convenzione.

In linea con la menzionata prassi, la Risoluzione 10 giugno 2008, n. 234/E, riguardante l’applicazione della Convenzione stipulata con il Belgio, ha riconosciuto natura di redditi di lavoro dipendente alle somme erogate a titolo di corrispettivo per l’obbligo di non concorrenza e le ha ricondotte nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 della Convenzione.

Analogamente, con la risposta ad interpello n. 460 del 2020, riguardante l’applicazione della Convenzione con la Confederazione svizzera, si è ritenuto che il TFR, le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo e di corrispettivo per l’obbligo di non concorrenza abbiano natura di redditi di lavoro dipendente e, pertanto, debbano essere ricondotte nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 della Convenzione.

Con riferimento al caso di specie, si ritiene che le somme corrisposte al dipendente in sede di conciliazione giudiziale, in quanto erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, siano qualificabili come redditi da lavoro dipendente, riconducibili alla sfera di operatività dell’articolo 15 della Convenzione.

Più precisamente, si ritiene che assuma rilievo il paragrafo 2.8 del Commentario all’articolo 15 del Modello OCSE, il quale prevede che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, le somme ricevute a seguito di una statuizione giudiziale o di un accordo conciliativo debbano assumere lo stesso trattamento fiscale dei redditi che vanno a sostituire.

Dal momento che il Contribuente, come si evince dal verbale di conciliazione giudiziale, ha rinunciato ad ogni tipo di pagamento, indennità e rimborso riferibile   allo svolgimento dell’intero rapporto lavorativo, i proventi derivanti dalla conciliazione devono ricevere lo stesso trattamento che avrebbero ricevuto tali redditi.

Quindi, per quanto riguarda il Paese di tassazione delle somme percepite in   sede di conciliazione giudiziale, occorre considerare l’intero rapporto lavorativo del beneficiario.

Ai fini del riparto della potestà impositiva, il citato articolo 15, al paragrafo 1, prevede che ”i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente  di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.

In sostanza, nella riportata disposizione, è prevista la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario, a meno che l’attività lavorativa, a fronte della quale sono corrisposti, sia svolta nell’altro Stato contraente, ipotesi in cui i suddetti emolumenti sono assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Pertanto, nell’assunto di una residenza fiscale in Italia fino all’anno x­12, sarà soggetta ad imposizione esclusiva in Italia la quota parte delle somme ricevute relativa agli anni d’imposta dall’anno x­17 all’anno x­12, in cui il Contribuente ha lavorato nel territorio dello Stato.

Rispetto alla quota parte degli emolumenti riferiti alle predette annualità, quindi, non assume rilievo la Convenzione tra Italia e Spagna, posto che il nostro Paese risulta sia Stato di residenza, sia Stato di svolgimento della prestazione lavorativa.

Parimenti sarà assoggettata a imposizione in Italia la quota parte relativa al periodo in cui l’Istante ha lavorato a Cuba (dove si assume fosse, altresì, residente), giacché, in mancanza di una Convenzione per evitare le doppie imposizioni con tale ultimo Paese, si applica soltanto la normativa interna che, come rilevato, per stabilire il collegamento con il territorio dello Stato, valorizza la residenza del soggetto erogante il reddito (cfr. articolo 23, comma 2, lettera a), del TUIR).

 

 

Fonte: Agenzia Entrate

La Redazione

Autore: La Redazione

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