Consulta: legittimità “regionale” della contrattazione collettiva di prossimità (art.8, L. n.148/2011)

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 221 depositata il 4 ottobre 2012, ha escluso che la disciplina contenuta nell’articolo 8 (Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità), della Legge n. 148/2011 (di conversione del D.L. n. 138/2011), sia lesiva delle prerogative legislative delle Regioni. Ricordiamo che la norma, oggetto della sentenza, riconosce in capo ai contratti collettivi aziendali una forza normativa senza precedenti. Infatti, tali contratti possono derogare dalla disciplina legale e contrattuale collettiva in molte materie di diritto del lavoro, quali, ad esempio: orario di lavoro, appalti, contratti a termine, lavoro a progetto, ecc.

SENTENZA N. 221

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 8, commi 1, 2 e 2-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 promosso dalla Regione Toscana con ricorso notificato il 14-18 novembre 2011, depositato in cancelleria il 17 novembre 2011 ed iscritto al n. 133 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto

1.― La Regione Toscana, con ricorso (r.r. n. 133 del 2011) notificato, a mezzo del servizio postale, il 14 novembre 2011 (ricevuto il 18 novembre successivo presso la sede della Presidenza del Consiglio dei ministri), depositato il 17 novembre 2011, ha impugnato, tra gli altri, l’articolo 8, commi 1, 2 e 2-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148.

La Regione ha addotto la violazione degli articoli 39, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.

1.2.― Dopo aver riportato il testo della disposizione censurata, inserita nel Titolo III della citata normativa concernente le misure a sostegno dell’occupazione, la ricorrente pone in evidenza che la norma in esame prevede la possibilità, nell’ambito della contrattazione collettiva di lavoro aziendale e/o territoriale (cosiddetta contrattazione collettiva di prossimità), di realizzare specifiche intese, finalizzate, tra l’altro, alla maggiore occupazione, alla promozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività (comma 1), aventi ad oggetto le materie concernenti l’organizzazione del lavoro e della produzione – con elencazione (comma 2) in relazione alla quale non sarebbe chiarito se essa abbia carattere esaustivo o esemplificativo – anche in deroga alle disposizioni di legge (incluse quelle regionali) vigenti nelle materie oggetto della loro disciplina e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

La Regione Toscana assume che le intese derogatorie di cui all’art. 8, avuto riguardo alle finalità perseguite di promozione della maggiore occupazione e di partecipazione dei lavoratori, di gestione delle crisi aziendali e occupazionali, di investimenti, anche relativi alla introduzione di nuove tecnologie, involgerebbero aspetti oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, riconducibili alla potestà concorrente regionale della tutela del lavoro.

Al riguardo, la ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale, in ordine alla interferenza di materie e alla concorrenza di competenze legislative nella disciplina del diritto del lavoro, nonché, in particolare, ai contenuti della competenza concorrente della tutela del lavoro, confermata con riguardo, tra l’altro, alla formazione esterna all’azienda, alla materia del collocamento, agli strumenti e alle modalità d’inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro, alle norme che pongono limiti quantitativi alle imprese nelle assunzioni di apprendisti, alle funzioni di programmazione, monitoraggio e verifica nell’ambito del mercato del lavoro di rispettiva competenza (è citata la sentenza n. 50 del 2005).

La denunciata incidenza della normativa impugnata nella materia della tutela del lavoro, di competenza concorrente regionale, risulterebbe ancora più evidente avuto riguardo alla normativa della Regione Toscana in materia di lavoro (legge regionale 26 luglio 2002, n. 32, recante: «Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro», e successive modifiche), secondo cui tra gli obiettivi delle politiche regionali di intervento figurano lo sviluppo e la promozione della occupazione, il sostegno di azioni di pari opportunità volte a migliorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro, lo sviluppo delle azioni dirette a garantire ai disabili l’accesso al lavoro, le politiche di sostegno alla continuità lavorativa al fine di favorire condizioni lavorative stabili, la diffusione della cultura di impresa, con particolare riferimento alla cultura cooperativa.

Le intese previste non solo interferirebbero nei suddetti ambiti, già oggetto della disciplina regionale, ma potrebbero anche derogare a quest’ultima, ciò in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro.

La ricorrente ritiene che il citato art. 8 violi l’art. 117, terzo comma, Cost. anche nella parte in cui rende derogabile dai contratti collettivi aziendali e/o territoriali i contratti collettivi nazionali, in quanto in questo modo sarebbero vanificate tutte le disposizioni legislative regionali – richiamate nel ricorso – che rinviano all’osservanza dei contratti collettivi nazionali di lavoro per definire i requisiti necessari ai fini della concessione di contributi o per la collaborazione, a diverso titolo, all’esercizio di funzioni regionali.

Pertanto, la Regione Toscana adduce la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro, nella parte in cui la norma impugnata «impone di considerare preminente il contratto aziendale e/o territoriale sul contratto collettivo nazionale e sulla legislazione statale e regionale».

1.3.― La ricorrente denunzia, altresì, la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione, in quanto, pur a fronte di una normativa che presenta molteplici interferenze con le competenze regionali, non risulterebbero previsti strumenti di concertazione con le Regioni, rimaste estranee alle intese disciplinate dalla norma impugnata, tanto più che si tratterebbe di intese derogatorie di disposizioni di legge, incluse quelle regionali.

In merito, la Regione Toscana richiama alcune pronunce della Corte costituzionale sulla necessità di procedere, allorquando sussista una interferenza di materie e, dunque, una concorrenza di competenze legislative, alla composizione dei diversi interessi attraverso gli strumenti della leale collaborazione (sono citate le sentenze n. 176 del 2010 e n. 50 del 2005).

1.4.― Infine, la Regione Toscana deduce la violazione dell’art. 39 Cost., che si tradurrebbe in una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro, in quanto, data la mancata attuazione della citata norma – secondo la quale il contratto collettivo di lavoro può assumere efficacia generale soltanto se il sindacato sia registrato – detti contratti collettivi e/o le specifiche intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale di cui alla norma impugnata non potrebbero assumere efficacia generale, né tantomeno derogatoria rispetto a norme di legge anche regionali.

In particolare, ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata si tradurrebbe in una «delega di funzioni paralegislative» (così sentenza n. 344 del 1996) ai contratti collettivi di lavoro e/o alle specifiche intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale, in palese violazione dell’art. 39 Cost. in quanto detti contratti e/o intese sarebbero trasformati in fonti extra ordinem, operando in deroga ai contratti collettivi nazionali e alle disposizioni di legge statali e regionali.

2.― In data 27 dicembre 2011 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

La difesa statale osserva che i profili di illegittimità costituzionale, prospettati dalla ricorrente, non sarebbero appropriati alla normativa in esame.

In primo luogo, l’istituto dell’opting-out (clausola derogatoria) non presenterebbe il carattere di generalità che viene assunto dalla ricorrente quale presupposto delle formulate censure, potendo rilevare soltanto quando le relative intese siano finalizzate ad una maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’emersione del lavoro irregolare, ad incrementi di competitività e salario, alla gestione di crisi aziendali ed occupazionali e all’avvio di nuove attività.

Quanto alla censura concernente la assunta violazione del riparto di competenze legislative Stato-Regioni in materia di lavoro, la difesa statale osserva che, secondo i principi stabilmente affermati dalla giurisprudenza costituzionale, il complesso di ambiti componenti il diritto del lavoro può essere suddiviso in diritto sindacale e disciplina del rapporto di lavoro, riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, ed in regolamentazione della tutela e sicurezza del lavoro, oggetto di competenza legislativa concorrente (sono citate le sentenze n. 234 e n. 50 del 2005, n. 359 del 2003).

In applicazione dei suddetti principi, il legislatore statale, con la norma impugnata, non avrebbe travalicato i confini della propria competenza esclusiva.

3.― Con memoria depositata in data 29 maggio 2012, la Regione Toscana ha illustrato ulteriormente le proprie conclusioni, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto

1.— La Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 39, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dell’articolo 8, commi 1, 2 e 2-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, «nella parte in cui prevede la realizzazione di specifiche intese a livello aziendale e/o territoriale che possono operare in deroga alle leggi statali e regionali nonché ai contratti collettivi nazionali».

Ad avviso della ricorrente, la norma censurata violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro. Infatti essa, nella parte in cui prevede la realizzazione di tali intese – con finalità, tra l’altro, di promozione della maggiore occupazione, di partecipazione dei lavoratori, di gestione delle crisi aziendali e occupazionali, di investimenti, anche relativi alla introduzione di nuove tecnologie e di avvio di nuove attività – concernenti aspetti oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, anche in deroga di disposizioni di legge, statali e regionali, nonché ai contratti collettivi nazionali, sarebbe invasiva della detta competenza regionale concorrente, interferendo con le disposizioni già adottate dalla Regione in materia di lavoro.

Inoltre, la norma impugnata violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, in quanto, pur in presenza di una normativa che realizzerebbe molteplici interferenze con le competenze regionali, non risulterebbero previsti strumenti di concertazione con le Regioni, rimaste estranee alle intese disciplinate dalla norma indicata, specialmente considerando che si tratterebbe di intese derogatorie di disposizioni di legge, incluse quelle regionali.

Infine, sarebbe violato l’art. 39 Cost. – con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro – in quanto, data la mancata attuazione dello stesso art. 39 (alla stregua del quale il contratto collettivo di lavoro può assumere efficacia generale soltanto se il sindacato sia registrato), i contratti collettivi di lavoro e/o le specifiche intese, sottoscritti a livello aziendale o territoriale, non potrebbero assumere efficacia generale, né tanto meno derogatoria, rispetto a norme di legge anche regionali, con conseguente trasformazione degli stessi in una fonte extra ordinem.

2.— Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni proposte dalla Regione Toscana con il ricorso in epigrafe, vengono all’esame della Corte le censure mosse dalla ricorrente all’art. 8, commi 1, 2, 2-bis, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.148 del 2011.

Detta norma, sotto la rubrica «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità», così dispone:

«1.— I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.

2.— Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d) alla disciplina dell’orario di lavoro;

e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

2-bis.— Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e dalle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro».

3.— Le censure mosse dalla ricorrente alla norma ora trascritta non sono fondate.

La Regione Toscana muove dal presupposto che detta norma – il cui novum riguarderebbe la possibilità che i contratti collettivi di lavoro, sottoscritti a livello aziendale e/o territoriale realizzino specifiche intese, aventi ad oggetto, tra l’altro, azioni preordinate alla maggiore occupazione, alla adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività (comma 1) – potendo derogare alle disposizioni di legge, anche regionali, sarebbero in grado di vanificare la legislazione regionale emanata in materia di tutela del lavoro.

Inoltre, pur a fronte di una normativa che presenterebbe molteplici interferenze con le competenze regionali, non risulterebbero previsti strumenti di concertazione con le Regioni, destinate a rimanere estranee alle intese disciplinate dalla disposizione impugnata, benché si tratti d’intese idonee a derogare alle disposizioni di legge, incluse quelle regionali.

Questa tesi non può essere condivisa.

Va premesso che, come emerge dal dettato della norma de qua, le «specifiche intese» previste dal comma 1, «finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività», non hanno un ambito illimitato, ma possono riguardare soltanto «la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione», con riferimento: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per i casi di licenziamento discriminatorio menzionati in modo espresso dalla norma stessa (comma 2).

Contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, il suddetto elenco ha carattere tassativo, come si desume sia dall’espressione utilizzata dal legislatore («con riferimento» alle specifiche materie indicate), sia – ed ancor più chiaramente – dal dettato dell’art. 8, comma 2-bis, alla stregua del quale «le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro».

Ciò significa che l’effetto derogatorio previsto dal citato comma 2-bis opera in relazione alle materie richiamate dal comma 2 e non ad altre. Inoltre, trattandosi di norma avente carattere chiaramente eccezionale, non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati (art. 14 disposizioni sulla legge in generale).

Fermo quanto precede, si deve ancora notare che l’identificazione della materia, tra quelle contemplate dall’art. 117 Cost. in ordine al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni (unico profilo rilevante in questa sede), deve essere effettuata avuto riguardo all’oggetto e alla disciplina stabilita dalla medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi (ex plurimis: sentenze n. 300 del 2011, nn. 326 e 235 del 2010, n. 368 del 2008 e n. 165 del 2007). In particolare, la disciplina normativa in esame deve essere considerata per ciò che essa dispone e non già in base alle finalità perseguite dal legislatore (sentenze n. 411 del 2006 e n. 50 del 2005).

Orbene, le materie indicate dall’art. 8, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011, poi convertito, concernono aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro, riconducibili tutti alla materia dell’ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.

In particolare, la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso – inclusa la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto e delle partite IVA, nonché delle vicende del rapporto inerenti alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto stesso, fatta eccezione per i licenziamenti discriminatori – si realizzano mediante la stipulazione di contratti di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell’ordinamento civile (tra le più recenti: sentenze n. 51 del 2012 e n. 69 del 2011).

Anche la disciplina attinente alla trasformazione dei contratti di lavoro (per esempio, da tempo parziale a tempo pieno) concerne la disciplina privatistica del rapporto poiché incide sull’orario regolato dalla contrattazione collettiva e, quindi, appartiene alla materia dell’ordinamento civile (sentenze n. 108 del 2011 e n. 324 del 2010); e ad analoghe conclusioni si deve giungere in ordine al regime della solidarietà negli appalti ed ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro.

La normativa sulle mansioni del lavoratore trova la sua prima fonte nell’art. 2103 del codice civile ed è, altresì, completata dalla contrattazione collettiva (resta esclusa dalla applicazione del citato art. 8 la speciale disciplina legale delle mansioni nel lavoro privatizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante: «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»). Del pari, la disciplina sull’inquadramento del personale appartiene alla materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 68 del 2011).

La norma che regola gli impianti audiovisivi è contenuta nell’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e della attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) ed è anch’essa ascrivibile alla materia «ordinamento civile», in quanto rientrante nell’ambito del diritto sindacale e, entro i limiti di cui al secondo comma del citato art. 4, suscettibile di deroga convenzionale previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna.

Come emerge dall’analisi che precede, ai sensi dell’art. 2-bis della norma censurata, le «specifiche intese» di cui al comma 1 di quest’ultima sono destinate ad operare, dunque, nell’ambito di materie rientranti tutte nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. l, Cost.).

Non è esatto, perciò, che esse possano incidere sulla legislazione regionale emanata in materia di tutela del lavoro, demandata alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.). Né giova il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale una normativa che intervenga a disciplinare la materia «lavoro» debba necessariamente tenere conto dell’intreccio di materie su cui la disciplina medesima si riflette, con specifico riferimento alla competenza concorrente delle Regioni in ordine alla tutela del lavoro. Invero, tale principio è operante quando un intreccio di materie sussista.

Tuttavia, nel caso in esame si è già posto in evidenza che le materie, nelle quali la contrattazione collettiva di prossimità è destinata ad operare, appartengono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Del resto, gli stessi riferimenti compiuti dalla ricorrente ne danno conferma. Essi menzionano «la formazione esterna all’azienda, in materia di collocamento, con riguardo agli strumenti ed alle modalità d’inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro, in riferimento alle norme che pongono limiti quantitativi alle imprese nelle assunzioni di apprendisti ed alle funzioni di programmazione, monitoraggio e verifica nell’ambito del mercato del lavoro di rispettiva competenza etc. (sentenza n. 50/2005) e, in generale con riferimento alle politiche attive volte a favorire l’occupazione ed il lavoro».

Orbene, nessuno di questi settori è richiamato dal catalogo contenuto nel comma 2, lettere da a) ad e), della norma censurata. Alcuni di essi trovano collocazione tra le finalità che la contrattazione collettiva di prossimità deve proporsi. Si è già messo in luce, però, che le materie previste dall’art. 117 Cost. non possono essere confuse con le finalità perseguite dal legislatore (sentenza n. 411 del 2006, citata).

Come detta sentenza ha rimarcato, il criterio differenziale si impone ancora di più quando venga in rilievo una materia – quale quella della tutela del lavoro – la cui stessa denominazione include il concetto di fine, e che per ciò solo sarebbe in grado di riferirsi a qualsiasi disciplina avente ad oggetto il lavoro.

La ricorrente richiama anche la giurisprudenza di questa Corte in tema di apprendistato (sentenza n. 176 del 2010), ma il riferimento nella specie non è pertinente. Infatti, in quella pronuncia fu ravvisata la necessità di tenere conto delle specifiche interferenze sussistenti tra la formazione all’interno delle aziende (inerente al rapporto contrattuale, onde la relativa disciplina rientra nell’ordinamento civile) e la formazione pubblica, che spetta alle Regioni e alle Province autonome disciplinare. Nel caso in esame, si deve notare, in primo luogo, che la norma censurata non contiene alcun accenno all’apprendistato; e, in secondo luogo, che la ricorrente si limita ad un generico richiamo alla materia «tutela del lavoro», ma non individua alcun istituto in relazione al quale verificare la presunta interferenza, dalla ricorrente medesima postulata, ma non dimostrata.

La Regione Toscana ha dedotto anche: a) la violazione del principio di leale collaborazione, stante la mancata previsione di un adeguato coinvolgimento regionale; b) la violazione dell’art. 39 Cost., alla stregua del quale (quarto comma) il contratto collettivo di lavoro ha efficacia obbligatoria soltanto se il sindacato è registrato (il che non può avvenire per la mancata attuazione del citato precetto costituzionale). Si deve replicare: a) che il detto principio, peraltro non invocabile con riguardo all’esercizio della funzione legislativa, non può comunque trovare applicazione in un ambito rimesso alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (sentenza n. 341 del 2009); b) che, proprio perché si verte in materia demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, una eventuale violazione dell’art. 39 (quarto comma ) Cost., per mancato rispetto dei requisiti soggettivi e della procedura di cui al precetto costituzionale, non si risolve in una violazione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.

Dalle considerazioni fin qui esposte deriva che la questione di legittimità costituzionale promossa dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe deve essere dichiarata non fondata con riferimento a tutti i parametri evocati.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione Toscana con il ricorso in epigrafe,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, commi 1, 2 e 2-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, promossa in via principale dalla Regione Toscana, in riferimento agli articoli 39, 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 settembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

La Redazione

Autore: La Redazione

Condividi questo articolo su