Articolo: Conciliazione in sede sindacale: quanto è veramente inoppugnabile?
approfondimento di Enrico Barraco, Andrea Sitzia, Michela Lucchiari – Studio Legale Barraco
Estratto dal n. 44/2019 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)
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“Un’alternativa al ricorso giudiziario: la strada della conciliazione
Il ricorso al giudice del lavoro, al fine di risolvere una controversia sorta tra datore di lavoro e lavoratore, consente alle parti di ottenere una sentenza di un organo terzo, imparziale e indipendente. Contemporaneamente, però, lo svolgimento di un processo può essere notevolmente costoso, non solo in termini economici, ma anche in termini di tempo: prima di giungere ad una decisione definitiva, infatti, possono passare mesi, se non anni.
A fronte di questa situazione, sempre più spesso le parti cercano di prevenire la nascita di un contenzioso giudiziale e di seguire la via della conciliazione, stipulando verbali di conciliazione che abbiano ad oggetto le possibili future pretese dei firmatari. Anche la soluzione conciliativa, però, presenta dei rischi: in particolare, le parti potrebbero impugnare il verbale sottoscritto.
Ai sensi dell’art. 2113, comma primo, c.c., infatti “Le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409, Codice di procedura civile, non sono valide”. La rinuncia è un atto unilaterale recettizio con cui un soggetto manifesta la volontà di dismettere diritti soggettivi; la transazione, invece, è un contratto tipico “(..) col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro” (art. 1965 c.c.). Le reciproche concessioni di cui parla la norma sono un elemento costitutivo del contratto di transazione: ciascuna delle parti, dunque, deve rinunciare a qualcosa.. ”…continua la lettura